Il 2 dicembre del 1977, mentre era in corso l’esperienza della solidarietà nazionale e il Pci di Enrico Berlinguer faceva sostanzialmente parte della maggioranza che appoggiava il governo Andreotti, i mitici metalmeccanici (allora uniti) promossero un’imponente manifestazione (si parlò di 250mila lavoratori) per le vie della capitale, con comizio finale a piazza San Giovanni, dove parlarono Pio Galli (leader della Fiom) e Pierre Carniti, segretario generale della Cisl.



L’iniziativa non venne presa bene dai vertici della Cgil e del Partito comunista, allora impegnati nel sostegno del nuovo quadro politico da cui si attendeva il superamento della conventio ad excludendum. Per fronteggiare una gravissima crisi economica e un tasso di inflazione devastante erano stati chiesti dei sacrifici ai lavoratori, trovando la disponibilità delle confederazioni sindacali e in particolare della Cgil.



La manifestazione dei metalmeccanici assunse subito il significato di una presa di distanza, tanto che Giorgio Forattini – le sue vignette campeggiavano sulla prima pagina de La Repubblica – disegnò un ritratto di Berlinguer in vestaglia e pantofole, intento a sorbire una tazza di te, mentre dalla strada veniva il clamore della manifestazione delle tute blu.

In quei tempi, il contesto politico-sindacale era più solido di quello di oggi. I metalmeccanici non si sarebbero mai sognati di polemizzare apertamente con il Pci e con le loro confederazioni (peraltro, allora, a mordere il freno erano piuttosto la Cisl e la Uil che non la Cgil). Ma il segnale che proveniva da quella manifestazione fu chiaro e avvertito come tale: la classe operaia per antonomasia non era convinta della svolta politica intrapresa dalla principale forza della sinistra.



Già, i metalmeccanici. Allora, era in auge, nella gauche, un sillogismo parecchio semplice e rozzo: si diceva che la classe operaia era costituita dai metalmeccanici, i metalmeccanici erano la Fiat, la Fiat consisteva nella catena di montaggio dello stabilimento di Mirafiori a Torino. Oggi, più o meno consapevolmente, la sinistra è ancora prigioniera di quell’analisi, nonostante l’avvento della società postindustriale, la prevalente terziarizzazione del mercato del lavoro (e del Pil) e la fine del taylorismo.

Ecco perché l’iniziativa del 16 ottobre (fortunatamente svoltasi in maniera civile e responsabile) è destinata a incidere profondamente nel dibattito della sinistra e nella strategia delle alleanze del Pd. Con quella manifestazione, la Fiom è intervenuta a gamba tesa nel dibattito aperto nell’opposizione, cercando di spostare più a sinistra l’asse del Pd e della possibile coalizione alternativa.

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Non a caso, la federazione dei metalmeccanici della Cgil (che ha ormai cannibalizzato la confederazione) ha avuto l’appoggio incondizionato delle forze che stanno a sinistra del Pd e dell’Idv, lasciando intravedere la possibile saldatura di un blocco politico e sociale, radicato su posizioni non solo conservatrici, ma addirittura reazionarie (la definizione di “sinistra reazionaria” è stata coniata da Tony Blair).

 

Il governo e la maggioranza non hanno nulla da temere: la Fiom gioca in un altro campionato; se dovesse vincere la sua partita, sarebbe la sinistra a perdere ogni possibilità di governare questo povero paese. Purtroppo, i guai – seri e gravi – il centrodestra se li è creati da solo. E rischia di esserne travolto.

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