Sabato scorso, in una lettera a Il Foglio, Michele Magno, vecchio militante della Cgil, raccontava di aver fatto un sogno (ritorna sempre l’adagio del “I have a dream”) in attesa di ascoltare l’esordio di Susanna Camusso in Piazza S. Giovanni in occasione della manifestazione della Cgil.
Alla prova dei fatti, a nostro avviso, la nuova segretaria non lo ha accontentato: non ha annunciato la fine delle intese separate, né di aver raggiunto un accordo con Cisl e Uil sul tema della rappresentanza «come sigillo della ritrovata unità». Non ha dichiarato che il compito del sindacato è quello di negoziare con i Governi in carica, a prescindere dalla loro natura politica (anzi ha lasciato intendere che la Cgil resta pregiudizialmente contraria a un esecutivo di centrodestra, anche se camuffa questo suo atteggiamento con motivazioni sindacali).
Tutto come prima, dunque? L’Iris Blond della Cgil ha letto – come se fosse lo svolgimento di un tema e sotto lo sguardo benevolo del pensionato Guglielmo Epifani – un discorsetto privo di sostanziali novità. Qualche piccolo passo in avanti, tuttavia, è onesto riconoscerlo: almeno Susanna Camusso non si è fatta coinvolgere dal delirio dello sciopero generale preventivo invocato dalla Fiom, nè sembra intenzionata ad abbandonare – come faceva il suo predecessore – il tavolo-salvagente che la Confindustria di Emma Marcegaglia le ha gettato.
È questa una mossa intelligente. Che cosa può desiderare di più una fiera oppositrice del Governo se non una vera e propria piattaforma rivendicativa contro il Governo stesso, per giunta sottoscritta da Cgil, Cisl e Uil e dalla Confindustria? A maggior ragione, senza dover pagare nessun prezzo politico, perché dal vertice in corso uscirà soltanto una montagna di chiacchiere. Se intesa sarà, è chiaro ormai che essa sarà simile al Patto di Natale del 1998, quando le tre confederazioni furono indotte a fare un regalo all’esecutivo presieduto da Massimo D’Alema, il quale volle ricompensarle portando addirittura in Parlamento quell’inutile testo, assunto quale eccellente esempio della concertazione.
Per capire il senso delle nostre critiche è sufficiente fare il paragone con il Protocollo del 1993. Anche quel documento conteneva una serie di richieste al Governo, ma il suo “nucleo duro” consisteva nell’intesa sulle regole della contrattazione collettiva, quelle stesse regole che hanno consentito di contrastare l’inflazione e difendere nello stesso tempo il potere d’acquisto delle retribuzioni, in un quadro di stabilità delle relazioni industriali.
In sostanza, le parti sociali, nel 1993, non si limitarono a richiedere al Governo delle misure di politica economica, fiscale e del lavoro, ma presero delle decisioni importanti su temi di loro stretta competenza. Cosa che non fecero nel 1998, perché la Cgil non era pronta a negoziare nuove regole contrattuali; cosa che non faranno neppure adesso, per semplici motivi di opportunità politica (o solo di mero opportunismo?).
La Confindustria tenta di avvalersi del cambio della guardia ai vertici della Cgil per voltare pagina rispetto a un andazzo di accordi separati (che poi sono meno di quelli che sembrano) ed è pronta a offrire a Susanna Camusso una piattaforma condivisa contro il Governo. La neosegretaria sa di non poter perdere quest’occasione. Ma ce la farà a convincere tutta la sua organizzazione, compresa la Fiom?