La lotta politica, per quanto dura e intensa, non può giustificare ogni comportamento, anche quelli più scorretti e disonesti. È sempre bene avere rispetto per gli avversari e riconoscere loro gli eventuali meriti.

Questo principio – che dovrebbe valere anche per le forze di opposizione (nei confronti di quelle che stanno al governo) – è applicabile certamente ai partiti che della maggioranza fanno o hanno fatto parte. Non si capiscono, pertanto, i motivi che inducono i maggiori esponenti di Fli, a cominciare dal presidente Gianfranco Fini (il quale incidentalmente è anche lo speaker della Camera, tenuto a un dovere di imparzialità), a rivolgere al governo pesanti critiche, del tutto simili a quelle che provengono dai settori più radicali delle opposizioni.

Un’azione di stimolo nei confronti dell’esecutivo sarebbe indubbiamente utile e salutare, se non fosse che le difficoltà incontrate dipendono in larga misura dalla crisi latente del quadro politico e da una maggioranza che non riesce a stare unita e neppure a dividersi. È ingeneroso, pertanto, pretendere che il governo si lanci in ardimentose riforme quando è esposto al “fuoco amico” che è sempre il più pericoloso perché contro di esso siamo indifesi e impreparati.

Ed è uno spettacolo un po’ squallido quello offerto da alcuni esponenti di Fli che – divenuti ormai delle star televisive – non esitano a criticare persino se stessi, nei ruoli svolti fino a ora, pur di tirare le orecchie alla compagine di cui fanno parte in qualità di ministri, viceministri o sottosegretari o che hanno appoggiato in Parlamento fino a ieri.

Certo, dopo una pausa estiva avvelenata da polemiche di ogni tipo, è quasi ovvio che il passo del governo si sia accorciato. Ciò nonostante il 19 ottobre la Camera è riuscita ad approvare in via definitiva a larga maggioranza (con voto favorevole della UdC) il “collegato lavoro”, un provvedimento molto delicato, che ha richiesto ben sette letture e che è stato oggetto, al momento della promulgazione, persino di un messaggio di rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione. Si tratta di una legge molto importante, ricca di contenuti e tale da riempire, in materia di lavoro, un’intera legislatura.

Che cosa propone Fli come prova della svolta a suo avviso necessaria? Lo abbiamo capito dalla lettura degli emendamenti presentati in Commissione Bilancio alla legge di stabilità e votati insieme alle opposizioni. Uno riguarda l’Università, l’altro il Mezzogiorno. Ma a presentare le cose in questo modo non si coglie l’effettiva realtà dei fatti. Il primo emendamento è finalizzato a “stabilizzare” i ricercatori universitari. Si sa, da noi le riforme finiscono sempre lì: a incollare i magnanimi lombi di qualcuno a una sedia dietro a una scrivania in un edificio della pubblica amministrazione. Quanto al Mezzogiorno vengono “restituiti” alle Regioni i Fondi FAS, ben sapendo che non saranno in grado di utilizzarli.

 

Ma in vista della campagna elettorale bisogna accattivarsi le simpatie delle classi dirigenti meridionali, quelle stesse che adoperano le risorse non per la crescita e lo sviluppo, ma per alimentare la politica e il sottogoverno. Non è vero, dunque, che il Governo sia assente in un momento delicato dell’economia. Non crediamo nell’onnipotenza della politica. Siamo più propensi, sul piano culturale, a vederne i limiti.

 

Ma qualche merito andrà pur riconosciuto al Governo se dopo una crisi violentissima (non ancora conclusa) l’economia torna a crescere grazie alle esportazioni; se la disoccupazione rimane in linea con i trend degli altri Paesi europei; se l’apparato industriale mantiene il quinto posto nel mondo (mentre quello di nazioni più blasonate è scivolato verso il basso); se, dopo l’accordo quadro del 2009, sono stati rinnovati una sessantina di contratti nazionali praticamente senza scioperi; se le misure di riforma del sistema pensionistico hanno stabilizzato ulteriormente la spesa in un clima di pace sociale (Oltralpe le cose sono andate molto peggio).

 

Tutto ciò è avvenuto in coerenza con la “messa in sicurezza” dei conti pubblici, senza dover ricorrere a quelle cure da cavallo di cui è protagonista, da ultimo, il Regno Unito. Questa è la legislatura della riforma delle leggi di bilancio, dell’introduzione del federalismo fiscale, nonché del riordino del pubblico impiego e della riorganizzazione della scuola.

È stato garantito il finanziamento degli ammortizzatori sociali, ha avuto applicazione la detassazione delle voci retributive legate alla produttività (ciò significa, ad esempio, che i dipendenti di Pomigliano riceveranno un incremento retributivo di 250 euro mensili tassati al 10%).

 

Tra poche settimane, se la legislatura proseguirà, in Aula, alla Camera, insieme allo Statuto dei lavori arriverà anche lo Statuto delle imprese: un segnale di grande attenzione non solo ai lavoratori, ma anche ai diritti delle aziende.