“Il Governo ha tenuto i conti a posto, ma da sei mesi la sua azione non è sufficiente”. In questa frase sta il senso delle dichiarazioni di Emma Marcegaglia che hanno sollevato un nuovo vespaio di polemiche. La presidente della Confindustria si spinge ancora più avanti invocando «altre scelte» nel caso in cui, nelle prossime settimane, l’esecutivo e la maggioranza non siano in grado di fare le riforme.
Sembrerebbe quasi che la leader degli industriali abbia voluto dare un colpo alla botte, dopo aver inferto, la settimana scorsa, un duro colpo al cerchio con il suo intervento sulle nuove frontiere della contrattazione collettiva dopo il caso Fiat e sulle conseguenti modifiche alla governance confindustriale che ne deriverebbero. Probabilmente Emma Marcegaglia intende ritessere il filo con la Cgil, quell’esile filo rosso che aveva visto, nei mesi scorsi, la Confindustria sedersi intorno un tavolo con le tre confederazioni sindacali allo scopo di redigere un documento di rivendicazioni al Governo.
Ma forse il gioco è ancora più grosso: la Confindustria ha deciso di giocare le proprie carte in questo difficile momento e di investire su di un nuovo assetto del quadro politico. Diversamente dalle opposizioni che si pongono soltanto il problema di mettere da parte Berlusconi per via giudiziaria; in cambio, nessuno molesterebbe più di tanto il Governo. La presidente, invece, prende addirittura di mira l’intero esecutivo, responsabile di aver perduto la spinta propulsiva e di non fare le riforme.
Ma Marcegaglia è veramente ingenerosa, perché il Governo ha ben poco da rimproverarsi. Ovviamente le difficoltà politiche hanno pesato, negli ultimi mesi, sulla sua azione, ma non è vero che gli ultimi sei mesi siano trascorsi senza una direzione politica all’altezza dei problemi del Paese. E soprattutto non si comprende quali potrebbero essere le riforme epocali che il Governo dovrebbe impostare e portare avanti se superasse gli ostacoli che si frappongono sul suo cammino.
Siamo a un passo dalla conclusione del federalismo. Il decreto sugli enti locali ha dovuto subire una pausa di riflessione su richiesta dell’Anci, che intende regolare parecchi conti prima di dare il proprio assenso, a partire dal recupero dei tagli dei trasferimenti che gli enti locali imputano al Governo. Quali altri Paesi, nelle agitate vicende della crisi, hanno fatto meglio dell’Italia? Certo, c’è il caso della Germania che torna a crescere in maniera sostenuta, ma le altre nazioni – anche quelle che non corrono dei rischi di insolvenza – presentano performance molto simili alle nostre.
È troppo comodo ritenere che aver tenuto i conti a posto sia stato quasi un atto scontato se non addirittura dovuto, di cui si può parlare ormai al passato. Mantenere il bilancio pubblico in relativo equilibrio è la premessa indispensabile per garantire anche un sostegno alla ripresa. Soprattutto il mondo dell’impresa ha ben poco da lamentarsi dell’azione del Governo. Che dire del massiccio e tempestivo finanziamento della cig, rifinanziato anche per il 2011? O della detassazione delle quote di retribuzione legate alla produttività, una misura in armonia con le riforme in atto nella contrattazione collettiva?
Che dire, ancora, delle tante novità del “collegato lavoro” o di una piccola riforma delle pensioni intervenuta praticamente senza conflitto sociale? Per non parlare poi di tanti provvedimenti di carattere settoriale che il Parlamento ha varato spesso in modo bipartisan. Oggi il ministro Sacconi, insieme ai ministri Gelmini e Meloni, proporrà un piano per l’occupazione giovanile, il vero punto critico di questi anni di crisi. Sarà quindi un tentativo di fare ancora meglio e di più, prima che la deriva dei gossip prenda la mano a tutti.