La crisi ha svoltato ancora una volta, in modo imprevisto e inatteso. Dopo il tormentone di agosto e la correzione della manovra di luglio eravamo convinti di poter tirare avanti, magari con qualche ritocco in sede di legge di stabilità. All’improvviso, nel vertice europeo, è arrivato l’ultimatum del vertice europeo a Silvio Berlusconi. Così è cambiato lo scenario della politica italiana. Non più tardi di giovedì scorso, all’assemblea del gruppo del Pdl della Camera, il Cavaliere e Angelino Alfano avevano tracciato una precisa strategia: occorreva arrivare, senza incidenti parlamentari, alla fine dell’anno, perché fosse il governo in carica a gestire le elezioni anticipate nella primavera del 2012, senza escludere di poter giungere, con un po’ di fortuna, alla scadenza naturale della legislatura. Domenica, però, i partner dell’Unione hanno sottoposto la maggioranza a una sfida di tale portata da mettere in discussione la permanenza in vita di un esecutivo che è appena uscito – grazie all’intervento del Capo dello Stato – dal cul de sac in cui si era infilato ad agosto.
La riunione straordinaria del Consiglio dei ministri di ieri si è conclusa con un nulla di fatto. La Lega Nord sembra irremovibile nella sua intransigenza di stampo elettorale. Non è detto che Berlusconi trovi la forza politica per affrontare un’altra prova. Il governo è in bilico. Eppure, in materia di pensioni, per dare le risposte pretese dall’Europa, non sarebbero necessarie particolari innovazioni, dopo le misure già adottate nell’attuale legislatura. Molti interventi sarebbero utili, ma uno solo indispensabile.
Tra le misure del primo tipo possiamo annoverare l’accelerazione dell’andata a regime di norme già contenute nelle manovre estive, a partire dal raggiungimento dei 65 anni per l’età di vecchiaia delle donne che può essere anticipato rispetto al 2026. La sola misura indispensabile è quella di introdurre un requisito anagrafico anche per il pensionamento di anzianità con 40 anni di versamenti (che oggi prescinde dall’età degli interessati). Per come è messo il mercato del lavoro questa tipologia è diventata la via più breve per l’accesso al pensionamento. Chi ha iniziato a lavorare precocemente oppure ha potuto riscattare lunghi peridi di formazione è in condizione di avvalersi di questa opzione a un’età inferiore (spesso anche di alcuni anni) a 60 anni. Bisogna necessariamente ricondurre questa tipologia all’interno del sistema generale previsto per l’anzianità (quote più età minima), magari stabilendo alcune salvaguardie per casi di particolari difficoltà (disoccupati in prosecuzione volontaria, lavoratori in mobilità).
L’Ue non chiede però solo un gesto clamoroso sulle pensioni, ma un progetto organico che, come richiesto nella lettera della Bce, affronti anche il tema delle norme che regolano la disciplina del licenziamento. È un’occasione da non perdere per riformare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Non ne capiterà più un’ opportunità analoga. La situazione è delicata, perché – a parte i numeri – non esiste una maggioranza alternativa in grado di fare proprie le indicazioni della Unione.
La lettera della Bce ha diviso le opposizioni: quelle di sinistra, per la prima volta, sono incalzate da un movimento di piazza (“gli indignati… de noantri”) che non si limitano a contestare il governo, ma prendono le distanze dalle direttive dell’Ue – in sintonia con tutti gli organismi monetari internazionali – per il risanamento economico, il pareggio di bilancio e lo sviluppo. Così, se il gabinetto dovesse cadere per manifesta impossibilità di onorare gli impegni assunti, toccherebbe al Quirinale proporre una soluzione di transizione in grado di evitare che il Paese si avviti nel caos, senza più la protezione dell’Ue.
Il Pdl si è sempre dichiarato contrario agli esecutivi tecnici, di alto profilo istituzionale o quant’altro. Sarebbe opportuno, però, gestire da protagonisti (magari, anche con un “passo indietro”) la fase che potrebbe aprirsi, anziché portare la responsabilità di un salto nel buio dell’economia e delle istituzioni.