Riuscirà Mario Monti a portare a compimento (dopo quanto già inserito nella legge di stabilità) gli impegni che il governo Berlusconi ha assunto con l’Ue e il G20, nonostante i dissensi che, nei confronti delle proposte più significative dell’eventuale programma, sono presenti all’interno dei gruppi che appoggeranno il suo tentativo? Veti sono stati esposti da ambedue i maggiori partiti che, dopo essersi combattuti per tre anni e mezzo, finiranno – un po’ per celia, un po’ per non morir – per votare la fiducia al “governo del Presidente”. Il Pdl non vuole sentir parlare né di imposta patrimoniale, né di ripristinare l’Ici. Il Pd entra in convulsioni se solo si accenna alle pensioni di anzianità e alla revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Eppure, questi argomenti andranno posti all’ordine del giorno. La patrimoniale si è ormai trasformata in un sacrificio rituale che la sinistra rivendica, spesso invocando l’esigenza populista di “colpire i ricchi”. Dimenticando che essere ricco non è una colpa, che non è sinonimo di evasore e che il sistema fiscale è già oggi particolarmente punitivo con chi ha un reddito elevato, sempre che sia un contribuente corretto.
È bene poi chiarire in partenza che coloro che si aspettano introiti favolosi da un’imposta sui patrimoni (la Cgil ha parlato addirittura di 50 miliardi senza che nessuno si sia messo a ridere) sono destinati a rimanere delusi. In una passata legislatura – nella maggioranza di centrosinistra di allora c’era anche Rifondazione comunista – un progetto di patrimoniale elaborato dal governo Prodi ipotizzava entrate per 2,5mila miliardi di vecchie lire. In ogni caso, ormai non ha più senso fare questioni di principio sulla patrimoniale. E nemmeno sul ripristino dell’Ici, dopo che il ministero della Economia, rispondendo al questionario dell’Ue, lo ha cifrato in 3,5 miliardi di euro. Purtroppo, la situazione è quella che tutti conoscono: i mercati vogliono vedere i fatti; neppure l’incarico conferito a Monti ha fornito ai mercati quella spinta che in tanti immaginavano. Il neo senatore a vita incontra molti ostacoli sul suo cammino. Eppure, il Presidente incaricato deve provarci ora o mai più. Con tutta la cautela del caso, certamente. Ma se finisse per subire veti, inevitabilmente reciproci, si ridurrebbe a imitare l’ultima fase del governo Berlusconi, quando, alla Camera, arrivavano soltanto trattati internazionali da ratificare e progetti di legge che venivano approvati all’unanimità. Se così fosse, i mercati non riserverebbero affatto un trattamento speciale a Mario Monti, ma ne sanzionerebbero l’inconcludenza a “colpi di spread”.
Del resto, ciò che l’Unione si aspetta da noi è noto. Innanzitutto occorre mettere a punto, con ogni probabilità, una manovra aggiuntiva, si dice, da 25 miliardi di euro. La crescita dei tassi di interesse avvenuta negli ultimi quaranta giorni ha assorbito, a copertura del servizio del debito, buona parte degli effetti delle manovre estive. A ciò si sono aggiunte le previsioni di una crescita economica ancora inferiore rispetto a quanto previsto nella Nota di aggiornamento del Def. Ecco perché non è il caso di rinchiudersi dietro pregiudiziali superate sul versante delle misure recanti nuove e maggiori entrate. Ma anche sul versante della spesa Monti deve trovare il coraggio di sfidare i tabù della sinistra. Le pensioni di anzianità devono essere riordinate, a partire dal caso dell’esodo a qualunque età grazie alla maturazione di 40 anni di servizio. Abbiamo fatto notare tante volte che, grazie a questa possibilità (di cui si avvalgono i due terzi dei pensionati di anzianità), alle generazioni del baby boom è consentito, in via di fatto e proprio perché hanno cominciato a lavorare in età precoce o hanno potuto riscattare lunghi periodi di formazione, di andare in quiescenza prima (spesso di alcuni anni) di aver compiuto 60 anni.
Anche per quanto riguarda la disciplina dei licenziamenti individuali la comunità internazionale ci attende al varco. Va trovata una soluzione ragionevole alla questione sottesa all’articolo 18: la reintegra per via giudiziaria nel posto di lavoro nel caso in cui il giudice ritenga ingiustificato il licenziamento. Nella lettera della Bce dell’agosto scorso, il superamento di questo vincolo era legato alla predisposizione di un progetto di flexecurity. Si è parlato a questo proposito del disegno di legge di Pietro Ichino, un progetto sostenuto da una grande campagna massmediale, ma in verità complesso e oneroso per le imprese.
Nei prossimi giorni, dopo il voto di fiducia, che non mancherà anche se ogni forza politica interpreterà tale voto a modo suo, vedremo alla prova dei fatti il “governo del Presidente”.