Il decreto “Salva Italia” è ormai legge dello Stato e porta con sé nella Gazzetta Ufficiale tutto il carico di provvedimenti con cui il governo Monti spera (o si deve dire sperava?) di invertire il ciclo negativo della finanza pubblica riconquistando un po’ di fiducia da parte di mercati, che per ora si dimostrano insensibili, come se a Palazzo Chigi ci fosse ancora Silvio Berlusconi. Tra pochi giorni entreranno in vigore anche le nuove norme sulle pensioni (di cui all’articolo 24 del provvedimento), ma già se ne chiedono delle modifiche.
I sindacati chiedono un’ampia rivisitazione dell’impianto complessivo riferito all’incremento dell’età pensionabile. Il Pd è molto condizionato da tali istanze, anche se sembra concentrare il proprio interesse (ed esercitare il proprio peso politico) su di un aspetto particolare nei confronti del quale sembra nutrire una riserva quasi di principio: il superamento della penalizzazione economica per quanti abbiano maturato il requisito contributivo di 41/42 anni (a seconda se donna o uomo, a cui aggiungere i mesi richiesti) prima di aver compiuto 62 anni di età.
È noto che la penalizzazione è stata fortemente ridimensionata al punto da diventare quasi simbolica, rispetto alle ipotesi iniziali: ora si ha a che fare con un taglio dell’1% sull’importo spettante per i due anni più vicini all’età richiesta e del 2% per quelli più lontani. In sostanza, chi arrivasse a far valer 42 anni più un mese se uomo a 58 anni di età, subirebbe una penale del 6%.
Chi scrive è convinto che sia stato un errore abbandonare il modello delle quote e dell’età minima, mentre sarebbe stato più opportuno anticipare e andare oltre quota 97, inglobando in questo canale anche il percorso dei 40 anni a prescindere dall’età. Sembra invece del tutto coerente con il metodo contributivo (che viene esteso a tutti con il criterio del pro rata) mantenere la penalizzazione nel caso di pensionamento anticipato.
Nei giorni scorsi la riforma Fornero è stata giudicata troppo severa in ambienti del precedente governo. Che esistano dei problemi è evidente. Molti lavoratori, che avevano la pensione alle viste, si troveranno a dover lavorare alcuni anni in più. Soprattutto, però, si rimprovera al ministro di non aver tenuto conto che, nell’attuale fase dell’occupazione, la pensione svolge la funzione di ammortizzatore sociale a favore di persone il cui posto di lavoro è in pericolo. A questa osservazione il neo ministro potrebbe rispondere di aver tenuto ampiamente conto – nel numero di 65 mila: a tanti casi corrispondono, cioè, gli stanziamenti di copertura – delle eventuali situazioni di difficoltà a cui mantenere le regole di pensionamento previgenti. In più va riconosciuto che non vi sono considerati soltanto i lavoratori in mobilità e quelli inclusi nei fondi di solidarietà del settore bancario/assicurativo, ma anche coloro che si trovano in regime di prosecuzione volontaria.
Tuttavia, se ci sono delle modifiche da fare è sul contesto delle tutele che occorre intervenire, salvaguardando il più possibile chi è senza lavoro e senza pensione. Vi sono casi riguardanti, per esempio, i cosiddetti esodati ovvero i lavoratori che hanno concordato, in precedenza, con il proprio datore dimissioni incentivate con extraliquidazioni calcolate sugli anni che separano dalla maturazione del diritto a pensione. Se l’appuntamento con la quiescenza si sposta di anni è evidente che il lavoratore viene a trovarsi in difficoltà. Altre categorie, come i dirigenti, non hanno ammortizzatori sociali; così, se hanno perduto il lavoro si trovano del tutto indifesi di fronte alle nuove regole dell’età pensionabile.
È vero: negli anni passati sul sistema pensionistico si sono caricate le soluzioni di troppi problemi. È un andazzo che deve terminare. Ma le questioni rimangono e meritano di essere affrontate con provvedimenti più adeguati e pertinenti, magari attraverso una riforma degli ammortizzatori sociali che si prenda in carico la tutela del reddito e l’occupabilità di quanti abbiano perduto il posto di lavoro, in età matura se non proprio anziana. Vedremo nelle prossime settimane. Intanto, è bene che il decreto “mille proroghe” non si precipiti a modificare norme forse severe ma meritevoli di essere verificate nella realtà.