È possibile studiare qualche soluzione che possa, nel medesimo tempo, cogliere due esigenze fondamentali del mercato del lavoro, apparentemente in contraddizione tra di loro, ma in realtà virtuosamente concorrenti? Parliamo della necessità di incrementare l’età effettiva di pensionamento dei lavoratori occupati e di aprire contemporaneamente prospettive occupazionali per i giovani, le donne e, più in generale, i disoccupati di lungo periodo.
Elevare l’età di pensionamento non risponde soltanto a esigenze di equilibrio del sistema pensionistico, ma anche a problemi propri del mercato del lavoro a fronte di dinamiche demografiche attese che vedranno aumentare la quota di popolazione anziana e contrarsi quella più giovane. Secondo le previsioni Eurostat, la popolazione è destinata a diminuire a partire dal 2035, quando il tasso netto positivo di migrazione non riuscirà più a controbilanciare il saldo tra nascite e decessi. Di conseguenza, nel 2050 i paesi europei si troveranno di fronte una popolazione più anziana, con il numero di persone over 65 che farà un balzo dal 12,9% al 30% tra il 2010 e il 2060.
È evidente che questo fenomeno dell’invecchiamento, e il conseguente incremento dei tassi di dipendenza, avrà anche forti implicazioni economiche e, segnatamente, condizionerà le dinamiche del mercato del lavoro e la tenuta dei modelli tradizionali di welfare. Essendo il dividendo demografico uno dei principali motori dell’economia, a una diminuzione della forza lavoro seguirà verosimilmente una contrazione economica. Neppure un incremento dei flussi di immigrazione potrà far fronte a questa situazione. Le stime indicano – per i prossimi dieci anni – un esodo di 8 milioni di lavoratori, che incideranno drammaticamente sull’offerta di lavoro, non riuscendo a garantire in alcun modo la domanda né con nuova immigrazione, né con l’impiego di inesistenti o inadeguate coorti di giovani.
Va da sé che tali problemi richiedono soluzioni di carattere strutturale dipendenti dalla ripresa dell’economia. In tale contesto, il Governo dovrà avere la capacità di adottare politiche attive del lavoro e della formazione in grado di fare incontrare domanda e offerta, in un quadro normativo che dia spazio a misure di flessibilità. Non si dimentichi mai che tali condizioni hanno consentito, dal 2000 al 2007, otto anni di crescita ininterrotta dell’occupazione, prima della “grande gelata” della crisi. Se il futuro non dovrebbe presentare particolari problemi per un certo periodo, la ripresa – proprio perché fragile e stentata – sarà a basso contenuto di occupazione. Le imprese cercheranno di consolidare gli organici che durante la crisi sono stati sottoposti a riduzione d’orario. Ma qualche cosa dovrà pur essere fatta per sbloccare la situazione.
Vediamo di mettere in campo un’idea. Le recenti misure in tema di previdenza obbligatoria hanno modificato le norme per l’esercizio del diritto a pensione: si potrà accedere al pensionamento un anno dopo la maturazione dei requisiti (18 mesi per gli autonomi). La norma consente ai lavoratori che non hanno ancora raggiunto i 40 anni di anzianità contributiva di lavorare e versare contributi più a lungo e di percepire così un trattamento più adeguato. Il problema si pone per coloro che hanno raggiunto i 40 anni di anzianità (quando non è più richiesto un requisito anagrafico), i quali devono aspettare ancora un anno, continuando a versare i contributi, senza avere un ritorno sulla prestazione, poiché hanno raggiunto il massimale previsto (i 40 anni, appunto).
Si potrebbe pensare a una forma di staffetta volontaria tra un anziano che ha maturato i 40 anni di versamenti e un giovane disoccupato. Ambedue potrebbero sottoscrivere un rapporto a part time sul medesimo posto di lavoro. Per il lavoratore anziano vi sarebbe un modesto incremento della pensione, per il giovane un’opportunità di lavoro. Il datore di lavoro potrebbe trarre vantaggio sul piano dei versamenti contributivi.
Ovviamente l’idea richiederebbe un maggiore approfondimento sul piano tecnico-giuridico, ma sembra meritevole di un esame adeguato. Il principale vantaggio di questa proposta sta nella sua capacità di impiegare in modo più efficace risorse comunque disposte e impegnate. Facciamo un solo esempio: datore di lavoro e lavoratore anziano possono regolare i loro conti spartendosi l’aliquota pensionistica del 33% (il lavoratore usufruisce della metà per farsi una piccola pensione supplementare in un anno di rapporto a part time, il datore risparmia l’altra metà); quanto al giovane, se disoccupato e percettore della relativa indennità, gode di copertura figurativa che gli potrebbe essere confermata anche se si impiega a part time, soprattutto perché verrebbe meno, per l’ente previdenziale, l’obbligo di versare l’indennità di disoccupazione. Più complesso, ma passibile di adeguata soluzione, il caso di un giovane al primo impiego. In tale fattispecie occorrerebbe finanziare ex novo la copertura figurativa.