Sconfitta sul piano sindacale, la Fiom si appresta a rifarsi nelle aule giudiziarie. La sua offensiva nei confronti della Fiat (e di altre imprese) è non solo molto ampia e insidiosa, ma sta ottenendo i primi successi, a prova del fatto che non esiste soltanto un problema di uso politico della giustizia in chiave anti-Berlusconi, ma che, nell’ordinamento giudiziario, è diffusa e dominante una cultura sessantottina del diritto del lavoro che prescinde totalmente dai vincoli derivanti dai nuovi assetti dell’economia: una cultura tuttora prigioniera di una interpretazione tolemaica del diritto, in un contesto ormai dominato dalla rivoluzione copernicana.
Sono due le sfide (affidate a ricorsi ex articolo 28 dello Statuto dei lavoratori) della campagna giudiziaria di Maurizio Landini e soci: l’ambito di applicazione del rinnovo del contratto nazionale “separato” del 2009, da un lato; gli effetti degli accordi tra NewCo-Fiat&Chrysler e sindacati (con l’autoesclusione della stessa Fiom) sui lavoratori, dall’altro.
Nei giorni scorsi, dopo un’analoga sentenza a Torino, il giudice del lavoro di Modena ha dato ragione alla Fiom (che aveva presentato un ricorso ex articolo 28 contro sette aziende di cui alcune del gruppo Fiat) stabilendo che, nella categoria dei metalmeccanici, esistono tuttora due contratti di lavoro: quello del 2008, sottoscritto da tutte le federazioni di categoria, e quello del 2009, a cui non ha aderito la Fiom. Ne deriva, secondo il tribunale, che le sette imprese hanno sostituito illegittimamente il contratto separato del 2009 a quello unitario del 2008 prima della scadenza di quest’ultimo. Così, il primo si applica solo agli iscritti ai sindacati firmatari, mentre agli iscritti della Fiom e ai non iscritti ad alcun sindacato continua ad applicarsi fino alla scadenza (il 31/12/2011) il contratto del 2008.
L’incremento contrattuale stabilito dal contratto del 2009 non deve essere restituito dai lavoratori esclusi dall’applicazione, dal momento che la Fiom aveva comunicato di considerare i 110 euro di aumento – previsti nel corso del biennio – come se fosse un’erogazione unilaterale. Ai soli iscritti ai sindacati firmatari si applicano, invece, le norme sul part time e le clausole di deroga. Persino l’aver dato corso alla “quota di servizio” (connessa alla distribuzione del contratto) a favore dei soli sindacati firmatari, è stato ritenuto un atto discriminatorio nei confronti della Fiom, perché avvenuto “omettendo di informare i lavoratori che il contratto del 2008 non era cancellato da quello del 2009”.
Sul versante Fiat è noto che il 2 maggio si svolgerà il referendum riguardante la possibilità di estendere alla Bertone la medesima organizzazione del lavoro indicata negli accordi di Pomigliano d’Arco e di Mirafiori. Sergio Marchionne ha condizionato l’investimento non solo all’esito del voto dei lavoratori, ma anche alla linea di condotta della Fiom. La questione cruciale, però, riguarda il giudizio sulla NewCo e sulle sue conseguenze. Mettiamo il caso – purtroppo probabile – di una condanna dell’azienda, che riporti in alto mare un lavoro di mesi, salutato come se fosse l’inizio (nel bene o nel male) di una nuova era; ipotizziamo una sentenza che ripristini interamente l’ancien régime delle relazioni industriali. Come reagirebbe Sergio Marchionne sempre più amerikano dopo l’acquisto di ulteriori quote della Chrysler?
Sinceramente, al suo posto, non perderemmo un solo minuto per andare alla ricerca di un Paese in cui “fare impresa” non sia considerato un fatto negativo, da contrastare in ogni modo. Sullo sfondo – non lo si dimentichi – c’è anche la sentenza della Thyssen Krupp, con tutto il suo carico di vendetta nei confronti di un episodio doloroso e grave.