L’istituto del lavoro occasionale di tipo accessorio è stato introdotto nell’ordinamento giuridico allo scopo di regolare prestazioni lavorative altrimenti a rischio di restare confinate nell’economia sommersa. A ulteriore semplificazione del rapporto è previsto, per il pagamento della prestazione e dei relativi oneri, l’utilizzo dei voucher.
Il limite economico per la generalità dei prestatori è fissato dalle norme in 5.000 euro per anno solare per singolo committente e in 3.000 euro complessivi per i soggetti percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. L’introduzione di tale sistema è iniziato in agricoltura, il settore che nel corso degli anni 2008-2009, si avvaleva del 94% del totale. Successivamente, l’uso dei voucher è stato esteso ad altre attività.
Attualmente il settore agricolo costituisce il 30% del totale per l’utilizzo dei voucher, soprattutto concentrato nelle regioni Veneto, Emilia Romagna e Toscana. Il settore del commercio rappresenta circa l’11% del totale dei voucher venduti, in particolare in Lombardia e Friuli. Con riguardo agli utilizzatori finali (ovvero i percettori della prestazione economica) si è trattato nell’insieme di circa 200.000 soggetti, in prevalenza pensionati e giovani, in gran parte studenti. I primi sono il 44%, i secondi il 25% del totale dei prestatori. L’importo medio riscosso per prestatore (secondo una rilevazione dell’aprile scorso) risulta pari a 570 euro.
In merito al rapporto tra voucher acquistati dai committenti e quelli effettivamente riscossi è normale che vi siano scostamenti anche significativi per quanto riguarda, dapprima, i tempi della riscossione e della rendicontazione all’Inps da parte dei soggetti abilitati al pagamento dei voucher. Tutto ciò premesso, la percentuale di buoni lavoro in agricoltura rappresenta quasi il 90% di quelli emessi secondo le diverse procedure previste (uffici postali, tabaccherie). Nel commercio la percentuale di riscossioni è pari a circa il 72%. Per quanto riguarda i rimborsi (ovvero la restituzione da parte del committente all’ente che ha effettuato le emissioni) su quasi 17 milioni di buoni di lavoro venduti a fine aprile 2011 le richieste riguardano circa 30.000 voucher.
Ha suscitato un dibattito la possibilità di estendere il sistema ai rapporti di lavoro occasionale resi per aziende che svolgono servizi in regime di appalto. A questo proposito è ammessa una deroga (in forza di quanto previsto dal decreto del ministro dell’Interno del 24 febbraio 2010) soltanto per gli stadi di dimensione superiore a 7.500 posti, mentre rimane precluso l’utilizzo presso impianti fieristici ed eventi culturali.
Il numero dei voucher venduti in agricoltura dal 2008 al 10 maggio 2011 (il valore del singolo pezzo è pari a 10 euro) ammonta a quasi 3,8 milioni (520.000 nel primo anno, 1,2 milioni nel 2009, 1,6 milioni nel 2010, 318.000 nei mesi considerati del 2001: le cifre sono arrotondate). L’esperienza ha una certa consistenza nel Nord del Paese, fino in Toscana. Poi le percentuali crollano addirittura sotto l’1% nelle regioni meridionali, dove neppure la forma semplificata del lavoro occasionale e del pagamento tramite buoni è in grado di scalfire il lavoro sommerso.
Nel medesimo periodo i voucher venduti nel settore del commercio assommano a poco meno di 2 milioni. La distribuzione è più equilibrata e interessa anche regioni come l’Umbria, il Lazio, l’Abruzzo. I voucher riscossi in agricoltura sono 3,3 milioni, nel commercio 1,4 milioni. Quanto al flusso dei lavoratori occasionali con almeno un voucher riscosso nell’anno (considerando sempre il periodo dal 2008 al 10 maggio 2011) si hanno i seguenti dati: a) agricoltura: 23.636 nel 2008, 41.834 nel 2009, 50.981 nel 2010 e 4.306 nello scorcio di anno 2011; b) commercio: 3.773 nel 2009, 17.171 nel 2010 e 7.116 nel 2011 fino a maggio.
Sono le solite regioni settentrionali a evidenziare il maggior numero di casi in ambedue i settori, mentre nelle regioni del Sud si contano, in generale, poche decine.