Come tutti i leader sindacali, soprattutto se orientati a sinistra, Susanna Camusso (si veda la sua intervista pubblicata su queste pagine ieri) deve rispettare una certa ritualità: criticare i padroni (identificati ormai con la Fiat di Sergio Marchionne) e il governo di centrodestra, magari senza prestare soverchia attenzione all’effettiva credibilità delle controproposte della Cgil. Ma anche per le sindacaliste più che le parole contano gli atti. E Susanna Camusso è in grado di presentare un bilancio positivo di un mandato esercitato da poco tempo in una situazione largamente pregiudicata dagli errori, prima, e dall’insipienza, poi, dei suoi predecessori alla guida del più importante sindacato italiano.
Per trovare, in Cgil, un leader all’altezza dei suoi compiti bisogna tornare indietro nel tempo fino al 1994, quando Bruno Trentin passò la mano a Sergio Cofferati. Il Cinese trasformò la Cgil in un’organizzazione settaria e conservatrice. Il suo successore – Guglielmo Epifani – è stato un inconcludente re Tentenna, incapace di assumersi una qualsiasi responsabilità che non fosse quella di dire di no. Persino durante il governo Prodi la Cgil finì per sottoscrivere il protocollo sul welfare soltanto quando il premier minacciò le dimissioni se così non fosse stato.
Per non parlare, poi, della riforma della contrattazione: il principale contributo di Epifani a questo cruciale aspetto della politica sindacale fu quello di alzarsi dai tavoli del negoziato inseguito da un premuroso Luca di Montezemolo il cui programma presidenziale consisteva in poche parole: nulla senza la Cgil.
Quando ha preso il posto di Epifani (dopo essere stata a lungo alla sua ombra) Camusso ha ereditato una Cgil talmente isolazionista da diventare irrilevante, perché il mondo andava avanti anche senza di lei. Nello stesso tempo aveva ereditato un calendario di scioperi separati a cui non ha potuto sottrarsi, perché quello era l’andazzo. Fin dai primi mesi, però, Camusso non ha esitato a ricucire lo strappo con la Confindustria di Emma Marcegaglia.
Ma il caso Fiat – a Pomigliano prima e a Mirafiori poi – ha costretto la Cgil a schierarsi, a malincuore, con la Fiom, rischiando di lasciarsi egemonizzare dalla deriva estremista del suo gruppo dirigente. Soprattutto perché intorno alla Fiom si era schierata gran parte di quella intellighenzia di sinistra che fa pur sempre tanta opinione; persino il Pd – salvo lodevoli eccezioni – era rimasto in un visibile imbarazzo, oscillando tra la ragionevolezza degli accordi e il “richiamo della foresta” della solidarietà con le “tute blu” dell’autunno caldo. Al momento buono, dopo la sconfitta della Fiom alla ex Bertone per iniziativa dei suoi stessi iscritti, Susanna Camusso ha compreso che si dovevano rompere gli indugi.
La sottoscrizione dell’accordo del 28 giugno rappresenta la svolta. Ha ragione, nell’intervista, la segretaria della Cgil, a sostenere che quella intesa non mortifica la posizione della sua organizzazione, proprio perché viene stabilita una “gerarchia delle fonti” al cui primo posto sta il contratto nazionale. Solo degli ideologi simmetricamente opposti a Landini potevano pensare che, in un Paese in cui la stragrande maggioranza delle imprese è di piccola dimensione, fosse arrivata l’ora del contratto aziendale. L’accordo, però, ha aperto a quelle clausole di deroga (anche se le chiama in altro modo) che erano state uno dei motivi di dissenso della Cgil al momento dell’intesa separata del 22 gennaio 2009 e ha fornito un quadro di riferimento anche per il progetto di regole che la Fiat persegue.
Non è un caso che, lo scorso 16 luglio, il giudice del lavoro di Torino abbia dato ragione alla Fiat nei punti sostanziali della newco e del contratto aziendale. Così, sottoscrivere l’accordo sulla rappresentanza e la struttura della contrattazione, quando l’armamentario della Fiom era ancora sub judice, è stata la vera presa di distanza della Cgil nei confronti della sciagurata “via giudiziaria” portata avanti dalla Fiom. Ma le novità non finiscono qui. La Cgil è tornata a negoziare con il Governo. Ne è scaturita un’intesa unitaria sullo schema di decreto legislativo sulla riforma dell’apprendistato, che è destinato a diventare la strada maestra per accesso dei giovani nel mercato del lavoro. Con questa linea di condotta la Cgil ha influito sui contenuti del negoziato perché una grande organizzazione che fa il suo mestiere conta ed è ascoltata.
Al convegno della minoranza della Fiom, Susanna Camusso ha fatto un’affermazione importante, innovativa nella cultura dell’organizzazione. Se ci sarà consultazione sul protocollo del 28 giugno a decidere saranno prima di tutto gli iscritti, non il solito “oves et boves et omnia pecora campi” che ha scelto in Maurizio Landini il suo profeta.