È ormai evidente. Per i poteri forti il problema non è la supermanovra, ma il Governo. Per una qualche (a noi imperscrutabile) ragione questo esecutivo e questa maggioranza devono cedere il passo. È tanto violenta l’offensiva che “lor signori”, con i potenti mezzi di comunicazione di cui dispongono, sono pronti e disposti a mandare all’aria il Paese pur di liberarsi del Cavaliere.



Basta sfogliare i grandi quotidiani. Gli stessi che lamentavano, con riferimento al decreto di luglio, l’eccessivo spostamento in avanti delle tranche del pareggio di bilancio, ora asciugano le lacrime di tutti quelli che si lamentano. Hanno chiesto a gran voce e con un furore iconoclasta l’abolizione tout court delle Province (a loro avviso divenuti enti inutili) e l’accorpamento dei piccoli Comuni. Adesso si fanno paladini, in nome delle tradizioni, delle comunità che dovranno rinunciare ai loro enti territoriali.



In luglio, in materia di pensioni, hanno preteso, in nome dell’equità, che i titolari di pensioni superiori a 90.000 e a 150.000 euro versassero un contributo di solidarietà dal 1° agosto 2011 fino a tutto il 2014. Ora fanno ricorso al ritornello “pagano i soliti noti” quando i medesimi prelievi sono operanti anche sui redditi da lavoro. Hanno a lungo schernito il consumismo dei “ponti” festivi, ma ora difendono le festività infrasettimanali che Tremonti propone di spostare alla domenica. Danno spazio ai soliloqui degli esponenti delle opposizioni sempre pronte a difendere chiunque: in luglio i poveri pensionati, in agosto il ceto medio.



Hanno chiesto per anni la tassazione al 20% dei capital gains e ora, avendola ottenuta, non sanno che farsene. E tutti corrono al capezzale delle Regioni e degli enti locali che nuovamente si dichiarano costretti a tagliare i servizi ai cittadini. A chi aggiunge che il federalismo è morto nessuno ha il coraggio fantozziano di replicare “finalmente una buona notizia!”.

Ciò premesso, la “supermanovra” non è poi un granché. Sono pochi gli interventi di carattere strutturale, sono pesanti i tagli nel pubblico impiego, è troppo poco quanto si è fatto in materia di pensioni. Ci sentiamo, invece, di esprimere un giudizio favorevole sulle norme del titolo III (Misure a sostegno dell’occupazione).

Si tratta di regole che risentono ampiamente dell’impostazione che il Ministro Sacconi intende dare allo Statuto dei lavori: consentire alle parti sociali di derogare, mediante la contrattazione di prossimità (ovvero quella più vicina all’impresa) dalle normative uniformi poste per tutto il mondo del lavoro senza affrontare il problema delle effettive differenze. L’articolo 8 del decreto legge consente a organizzazioni comparativamente più rappresentative di negoziare, tra le altre materie, anche gli effetti e le conseguenze del recesso dal rapporto del lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e per quello in occasione di matrimonio (che mantengono il diritto a reintegra).

La mossa è veramente abile e appropriata. Non vi è nessuna revisione per via legislativa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma si concede alle parti di negoziare, in particolari condizioni del mercato del lavoro in una determinata area del Paese, una tutela più leggera (il risarcimento del danno) in caso di licenziamento ritenuto illegittimo dal giudice, salvi i casi già citati in cui non sono ammesse deroghe.

È pure interessante la norma “salva-Fiat”, i cui accordi di Pomigliano, Mirafiori ed Ex Bertone erano stati espunti dall’intesa del 28 giugno. Grazie al decreto, la data del 28 giugno non avrà più alcun ruolo discriminante, in quanto basterà che vi sia stata l’approvazione da parte della maggioranza dei lavoratori perché l’accordo raggiunto in azienda abbia validità erga omnes.

Va poi segnalata, oltre al controllo sulle pratiche di tirocinio, l’importanza di una disposizione di carattere penale allo scopo di contrastare l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro.

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