Oggi ha inizio, a Palazzo Chigi, il confronto con le parti sociali sull’economia e il mercato del lavoro. Ma ormai è chiaro: non vi sarà, per ora, alcuna riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Eppure, in una delle prime bozze preliminari del decreto sulle liberalizzazioni era emersa una proposta parziale, ma interessante: nel caso di fusione o di incorporazione di aziende con meno di 15 dipendenti, il limite di applicabilità della tutela prevista dall’articolo 18 veniva elevato a 30 dipendenti (in taluni testi persino a 50).
Sarebbe stato un modo per favorire l’allargamento della dimensione delle imprese senza dover subire, in caso di licenziamenti, l’obbligo della reintegra, che costituisce pur sempre una remora quando si tratta di aumentare il numero degli occupati. I sindacati hanno protestato, il Pd ha fatto eco, il ministro Elsa Fornero ha rivendicato, correttamente, che la materia era di sua competenza e non del ministero dello Sviluppo economico. Così anche questo tentativo è finito in archivio.
Del resto, anche il Pdl, in occasione di un vertice convocato dal segretario Angelino Alfano nei giorni scorsi, ha deciso di non avanzare delle proposte di riforma dell’articolo 18 e di limitarsi a segnalare (come ha fatto nel Piano per lo sviluppo) che il Governo Monti è impegnato a dare attuazione a quanto indicato, in proposito, nella lettera di intenti del 26 ottobre, che riportiamo, per memoria, di seguito: “Entro maggio 2012 l’esecutivo approverà una riforma della legislazione del lavoro: a) funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell’impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato: b) più stringenti condizioni nell’uso dei ‘contratti para-subordinati’ dato che tali contratti sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato”.
Tutto finirà a tarallucci e vino, dunque? Poco male. Visto che il nostro povero Paese è destinato ad andare a gambe all’aria, insieme, prima o poi, con tutta l’Eurozona, possiamo pure continuare ad avvalerci di una disciplina dei licenziamenti individuali che si aggiunge alle tante altre ragioni della nostra inadeguatezza competitiva. È ormai evidente che, come non siamo riusciti a convincere i mercati attuando una riforma delle pensioni con tratti di crudeltà, così non attireremo investimenti stranieri soltanto introducendo nell’ordinamento una disciplina del licenziamento individuale che, insieme ai ritardi della giustizia, crea non pochi problemi alle imprese. Tanto vale, allora, ballare spensierati sul Titanic fino a quando il ponte non sarà sommerso dai flutti.
Noi italiani siamo come i passeggeri di una mongolfiera bucata: crediamo di andare più veloci grazie al Governo dei tecnici che ricevono salamelecchi in tutte le cancellerie europee; invece, stiamo precipitando. E precederemo in questo accelerato declino i nostri partner dell’Europa benestante, che, uno a uno ci seguiranno, compresa, buon ultima, la Germania. Lungo tale via crucis succederà di tutto, si diffonderà ogni forma possibile di invidia sociale, si muoveranno conflitti molto aspri e violenti, e alla fine si aprirà la “caccia all’uomo” nelle classi politiche (già ne vediamo le anticipazioni) come se fosse esclusivamente loro la responsabilità del progressivo ma inesorabile venir meno di una condizione di benessere e di sicurezza che si riteneva acquisita per sempre, al punto da assurgere a livello di diritti non negoziabili.
Proprio perché credo che questo scenario sia ineludibile, che cosa dire della riforma del mercato del lavoro e dell’articolo 18? Sul primo aspetto del problema, per l’ennesima volta ci accorgeremo di non avere adeguate risorse a disposizione e ci infileremo nelle astruserie del contratto unico o prevalente, magari eliminando qualche contratto flessibile, facendo finta di non sapere che esso potrebbe svolgere una funzione utile per regolare situazioni lavorative specifiche. Quanto al fatidico articolo 18 i sindacati continueranno nella difesa a oltranza, oltre ogni ragionevolezza.
È, allora, soltanto per un dovere di informazione che mi permetto di ricordare di seguito, come la materia della tutela del licenziamento individuale ritenuto illegittimo – sanzionato da noi con la reintegra giudiziale nel posto di lavoro per le aziende che occupano più di 15 dipendenti – viene affrontato in altri Paesi (prendendo a riferimento i casi di dipendenti con 20 anni di anzianità).
Francia: è previsto un risarcimento economico ragguagliato all’anzianità di servizio (16 mesi di retribuzione in caso di anzianità superiore a 20 anni). La possibilità di reintegra è prevista unicamente nel caso di licenziamento discriminatorio.
Danimarca: è previsto un risarcimento economico (con 20 anni di servizio 9 mensilità). Non è preclusa la possibilità di reintegra, ma è raro che si verifichi.
Germania: per tutti i lavoratori, nel caso di 20 anni di anzianità è prevista un’indennità di 18 mesi; la reintegra è possibile, ma raramente applicata.
Regno Unito: il datore non è obbligato a reintegrare il lavoratore e, se il giudice glielo ordina, il datore più rifiutarsi ed essere condannato a un’ulteriore indennità in aggiunta a quella base che, con 20 anni di servizio, è pari a 8 mensilità.
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