A questo punto, dopo che la Camera – in sede di conversione del decreto milleproroghe – ha, nei fatti, riaperto la questione delle pensioni, ampliando il numero dei soggetti che potranno avvalersi delle deroghe e di conservare i previgenti requisiti, vengono naturali alcune domande al Governo. Ecco la prima, con una premessa. La riforma delle pensioni è sicuramente più severa che rigorosa, ma è servita a mandare un segnale forte ai mercati e alla Comunità internazionale, che giudicano l’impegno di un Paese nel risanamento dei conti pubblici a seconda delle misure che esso adotta sul sistema pensionistico. Se ciò è vero, non si corre il rischio che resti in piedi la facciata della riforma a regime, ma che essa sia svuotata – come è accaduto dalla legge Dini in poi – a causa di una transizione troppo lunga e generosa? In questo caso, i nostri partner se ne accorgeranno, al di là dello sforzo del Governo di resistere sull’impalcatura delle decorrenze.



Seconda domanda. Ma se sono necessarie deroghe per parecchie decine di migliaia di soggetti; se è così difficile resistere alle pressioni dei partiti, non sarebbe stato più opportuno muoversi secondo una linea di maggiore gradualità seguendo il percorso delle riforme precedenti (quote ed età minima) magari inasprendone i requisiti, anziché cambiare radicalmente impostazione, finendo poi per rimettere in campo il vero “lato oscuro” del nostro sistema: il pensionamento che prescinde dal requisito anagrafico?



È il caso di spiegare queste considerazioni. A Montecitorio, il Governo Monti è stato costretto a chiedere la fiducia su di un provvedimento di ordinaria amministrazione come il decreto milleproroghe per un motivo tanto semplice da apparire persino banale: impedire che, in Aula, si allargasse ancor più la breccia aperta, nelle Commissioni riunite, in materia di pensioni. Tuttavia, su precisa richiesta del presidente Donato Bruno, il sottosegretario Gianfranco Polillo ha dovuto promettere che l’esecutivo, al Senato, presterà la massima attenzione ai problemi che, sulle pensioni, non è stato possibile risolvere in occasione della prima lettura.



Vi saranno, allora, delle altre modifiche, anche perché il Pd, che ha subìto la riforma Fornero, ha ribadito la sua intenzione di correggerla ulteriormente in molte sue parti, tanto da far ritenere che, al riparo delle critiche, resti soltanto l’estensione pro rata del calcolo contributivo. Dal canto suo, il Pdl ha tenuto una linea di condotta opportunista, accodandosi sostanzialmente alle richieste del Pd, per concorrere ad attribuirsene il merito, salvo trovare un proprio ruolo quando si è trattato di risparmiare ai lavoratori autonomi l’onere della copertura finanziaria necessaria a favorire il pensionamento, con i previgenti requisiti, dei cosiddetti precoci.

L’operazione che è risultata da tutto il lavorio delle Commissioni non può lasciare tranquillo nessuno. Si è incluso un numero imprecisato di “esodati” (coloro che hanno sottoscritto accordi di dimissioni incentivate con riferimento ai limiti stabiliti per la quiescenza) all’interno delle deroghe già previste per i lavoratori in mobilità, quelli inseriti nei fondi di solidarietà o in prosecuzione contributiva volontaria; e lo si è fatto a parità di copertura finanziaria, aggiungendo una clausola di salvaguardia che consentirà, quando verranno meno gli stanziamenti, di aumentare – il che non aiuterà certo le imprese e l’occupazione – il costo del lavoro, agendo sulle aliquote degli ammortizzatori sociali.

Ciò nonostante, sono rimaste scoperte importanti sacche di “esodati”, ancorché individuati sulla base di accordi collettivi, mentre restano del tutto privi di protezione (è quasi impossibile trovare delle soluzioni per loro) quanti hanno perso individualmente il posto di lavoro, senza avere neppure l’opportunità di negoziare delle extraliquidazioni, al pari degli “esodati” assistiti dai sindacati. Su questo punto tornerà certamente il Senato, ma dovrà anche reperire delle risorse aggiuntive, se l’operazione vorrà essere minimamente seria.

Quanto ai “precoci” si è aperta un’uscita di sicurezza fino al 2017 che consentirà di accedere al pensionamento facendo valere soltanto il requisito contributivo di 41/42 anni senza incorrere nella modesta penalizzazione prevista per coloro che hanno meno di 62 anni di età. Sarebbe stato più opportuno destinare ogni disponibilità alla tutela di quanti sono privi di lavoro, piuttosto che di quelli che sono occupati e a cui si chiede di andare in quiescenza più tardi.

Va segnalato, comunque, che la soluzione trovata (quella di includere, nel calcolo della anzianità effettiva utile, solo talune voci di contribuzione figurativa) è esposta, a partire dalla lettura del Senato, a ulteriori pressioni e imboscate parlamentari, volte a includere nuove fattispecie di contribuzione figurativa. Inoltre è appena il caso di ricordare che la copertura, a carico delle accise sul tabacco, è assai poco credibile nei suoi effetti.

 

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