Dopo alcuni giorni di discussione con il Governo e la Ragioneria generale dello Stato i valorosi relatori della legge di stabilità – Pier Paolo Baretta del Pd e Renato Brunetta del Pdl – hanno aggiustato l’emendamento 8.500, depositato sabato sera e riguardante il tormentone dei cosiddetti esodati. Siamo convinti (è l’ottimismo della volontà) che una soluzione – definitiva almeno per l’attuale legislatura – sia stata trovata, perché la questione era ormai matura e rischiava di avvelenare la campagna elettorale. Ma siamo altrettanto sicuri che l’importante risultato acquisito, tra tante difficoltà, susciterà più critiche che adesioni, più polemiche che consensi, fino al punto di creare tensioni al momento del voto di fiducia del solito maxiemendamento che sarà portato in Aula, pare, giovedì prossimo.
Perché si sono incontrate, da un anno a questa parte, parecchie difficoltà a risolvere un problema che riguarda tante persone le quali hanno rischiato (alcuni di loro ancora rischiano) di rimanere prive di reddito, di protezione sociale senza poter accedere, se non dopo anni, a quel trattamento pensionistico che ai loro occhi appariva come una terra promessa? Si scarica su questa triste vicenda una serie di errori che, col passare dei mesi, si sono incatenati tra loro fino a determinare una barriera sempre più insormontabile. Il peccato originale sta nella riforma delle pensioni che non ha messo in conto di prevedere un’adeguata fase di transizione più equa e graduale per l’applicazione dei nuovi e giustamente più severi requisiti anagrafici e contributivi.
Così tanti lavoratori già usciti o in procinto di uscire dal mercato del lavoro perché nella rete degli ammortizzatori sociali o intenti a consumare incentivi all’esodo ragguagliati ai requisiti previgenti, si sono trovati al cospetto della minaccia di restare, loro e le loro famiglie, privati di qualunque tipo di reddito. Su questi casi si è investito parecchio: finora 9,3 miliardi in un decennio (a tutela di 140mila casi). Ma, come ha affermato il sottosegretario Gianfranco Polillo, in tanti momenti si è avuta l’impressione di aver scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora perché le situazioni di quanti rivendicano di essere salvaguardati attraverso l’applicazione dei previgenti requisiti sono un numero infinito, difficilmente classificabile in un perimetro a cui sia possibile attribuire previsioni di copertura finanziaria affidabili.
Non occorreva molta lungimiranza per rendersi conto di tale stato di cose. E qui ha più volte sbagliato la commissione Lavoro della Camera nell’infilarsi – dapprima portando in Aula un progetto di legge a firma Damiano (ma sottoscritto da esponenti di tutti i partiti) privo di copertura, poi votando un emendamento, anch’esso unanime, alla legge di stabilità senza ricercare un accordo preventivo con il Governo – nel lungo tunnel delle casistiche ritenute meritevoli di tutele, spalancando orizzonti difficilmente riconducibili alla fredda logica dei numeri (e quindi delle necessarie coperture finanziarie) e, ciò che è più grave, illudendo tante persone di poter risolvere il loro problema spesso diverso da quello degli altri.
Va poi segnalata la linea di condotta degli esodati, che sono riusciti – contando su di un enorme sostegno dei media – a gestire da soli le loro rivendicazioni in modo sicuramente originale ed inconsueto: attraverso il web e la rete. Mettendo in collegamento tra loro i diversi comitati eincalzando i parlamentari di cui seguivano e commentavano le iniziative e l’atteggiamento nei confronti dei loro casi. In sostanza, hanno promosso un’azione lobbistica talvolta con toni offensivi e sempre agitando la clava della diffamazione nei confronti di coloro che non sostenevano adeguatamente la loro causa.
Ecco perché, allora, il dibattito sugli esodati è rimasto prigioniero, grazie anche alla disinformazione esercitata da media sensazionalisti, di istanze moralistiche, come se l’equità e il disagio fossero di per sé categorie sufficienti a risolvere i problemi; come se quanti mettevano in evidenza le difficoltà fossero dei traditori della buona battaglia e quindi da sottoporre alla gogna mediatica (il sottoscritto ne è buon testimone). Da ultima, viene il nemico pubblico n.1: la Ragioneria generale dello Stato che non è composta da esseri crudeli, insensibili alle grida di dolore degli esodati, ma da civil servant seri e preparati che svolgono un solo compito: assicurare che le norme abbiano adeguata copertura finanziaria. Se chiudessero un occhio finirebbero per fare la parte del medico pietoso che uccide il malato. Alla luce di queste considerazioni mi persuado sempre di più che pretendere di scovare e tutelare tutti i possibili casi è un’impresa temeraria.
Forse si è scartata con troppa fretta l’idea di una misura di carattere strutturale quale sarebbe potuta essere, in alternativa alle varie deroghe individuate, l’estensione anche ai lavoratori maschi della facoltà, consentita solo alle lavoratrici fino a tutto il 2015, di optare per un pensionamento di anzianità interamente sottoposto al calcolo contributivo.