Dopo aver concorso a trovare una soluzione di carattere strutturale (con l’istituzione del Fondo “esodati” nel disegno di legge di stabilità ora all’esame del Senato) la commissione Lavoro della Camera è impegnata nel tormentone delle cosiddette ricongiunzioni onerose. Avendo fatto tesoro dell’esperienza compiuta sul tema dei “salvaguardati”, dove la Commissione ha ritenuto, con un po’ di arrogante protagonismo, di poter agire da sé, imponendo al Governo (e, soprattutto, alla Ragioneria generale) il progetto di legge concodato con i sindacati e scritto sotto dettatura dei vari comitati esodati che viaggiano sulla rete, questa volta, dopo aver accumulato numerose sconfitte, si è convenuto di procedere d’intesa con il ministro Fornero – che ha dato prova di voler cercare una misura risolutiva – allo scopo di poter adottare una norma adeguata nel contesto di un provvedimento che abbia la probabilità di essere approvato entro la fine della legislatura.



La questione ricongiunzioni onerose – è noto – risale a una norma contenuta nel dl 78/2010 (convertito nella legge n. 122) che ha reso appunto onerose, con effetto immediato e all’insegna di parecchie decine di migliaia di euro, tutte le ricongiunzioni contributive (comprese quelle prima gratuite) presso enti diversi. Il precedente Governo, il 27 luglio del 2011, riconobbe, in Aula a Montecitorio per bocca del sottosegretario Luca Bellotti, che «gli effetti concreti che la riforma ha prodotto sul tessuto sociale hanno in parte travalicato le iniziali intenzioni del legislatore» e ammise che «i costi risultano essere nell’ordine di diverse decine di migliaia di euro».



Da allora, in commissione Lavoro della Camera, sono stati predisposti e votati due testi bipartisan, rivolti a ripristinare la situazione previgente, prima attraverso una modifica delle norme sulla totalizzazione, poi individuando un tertium genus nella possibilità di cumulo gratuito. Ambedue i testi, nel corso di esami successivi, sono stati “feriti a morte” da relazioni tecniche del Ministero e della Ragioneria che mettevano in evidenza l’insostenibilità dei costi e la mancanza di un’adeguata copertura. La stessa sorte è toccata a un ultimo tentativo incentrato semplicemente sull’abrogazione delle norme incriminate della legge n. 122/2010, al fine di ripristinare così la precedente disciplina che prevedeva i casi in cui la ricongiunzione era onerosa e in quali gratuita.



Da ultimo, chi scrive ha tentato la strada solitaria di un emendamento al ddl di stabilità in occasione del suo passaggio a Montecitorio, limitando la procedura gratuita al solo caso della ricongiunzione finalizzata a conseguire la pensione di vecchiaia (non quella anticipata); ma tale emendamento non ha superato il parere di ammissibilità da parte della commissione Bilancio in sede referente.

Ecco spiegato, con questa breve cronistoria, il motivo per cui è divenuto evidente che il braccio di ferro tra Commissione e Governo (dietro al quale vigila la Ragioneria generale dello Stato) non poteva portare a risultati utili; così, si sta cercando, come abbiamo già anticipato, un’intesa con il ministro del Lavoro allo scopo di risolvere almeno in parte il problema, assumendolo in un provvedimento (la legge di stabilità nella lettura del Senato o il decreto milleproroghe) di sicura approvazione (a meno che il sistema politico non impazzisca del tutto).

Le soluzioni non sono né facili, né a portata di mano. Secondo le “note tecniche” redatte dalle autorità competenti, sarebbero interessate al problema 600mila persone dal 2013 al 2022, di cui almento 360mila riceverebbero dei benefici se fossero approvate le norme predisposte dalla Commissione. Sui benefici, però, è bene intendersi. Nessuno mette in discussione il fatto per cui, se si passa da un regime a un altro con regole più favorevoli, la ricongiunzione debba essere onerosa (com’è sempre stata anche prima del 2010). Ciò che non può essere accettato è l’aver posto all’improvviso nella condizione di dover pagare somme insostenibili anche coloro che ricongiungono i loro contributi, versati in un regime migliore, presso un altro con regole meno favorevoli, soltanto perché, nella vita, hanno cambiato lavoro e sono stati perciò iscritti a regimi pensionistici differenti.

Costoro, infatti, alla luce delle disposzioni introdotte dalla legge n. 122, hanno le seguenti possibilità: 1) totalizzare i differenti periodi gratuitamente, ma sottoponendo la prestazione al calcolo interamente contributivo e quindi a una penalizzazione economica; 2) ricongiungere in modo comunque oneroso; 3) rinunciare al computo di parte dei versamenti effettuati in una differente gestione (che non sono stati ricongiunti per non sostenerne l’onere relativo), ottenendo così una pensione di importo inferiore a quella a cui si avrebbe diritto, per la quale si sono pagati i contributi. In poche parole, la situazione viaggia ai limiti dell’assurdo.

Per riportare giustizia, però, è necessaria una robusta copertura, stimata a regime nel 2022 pari a 2,2 miliardi (ma se si fa il conto delle risorse necessarie cumulate nel decennio si arriva intorno ai dieci miliardi). Domani, 5 dicembre, il ministro Fornero dovrebbe riferire in commissione Lavoro della Camera. La settimana scorsa ha anticipato la sua linea di condotta, consistente nel provare a risolvere un certo numero di problemi in via amministrativa, consentendo il cumulo gratuito a quei soggetti che non avevano presentato la domanda di ricongiunzione pur avendo maturato i requisiti. In questo modo la domanda non sarebbe più costitutiva del diritto alla ricongiunzione che si trasformerebbe in un fatto quasi automatico.

Ammesso e non concesso che questa scorciatoia sia percorribile, resterebbe una vasta casistica da risolvere con una norma di legge, la quale trascinerebbe con sé i problemi, finora irrisolti, di copertura.