Al posto di Elsa Fornero io convocherei Susanna Camusso e le offrirei di stipulare un accordo per la salvezza dell’industria italiana. I termini dell’intesa sarebbero i seguenti: se la segretaria della Cgil fosse in grado di “pensionare” il gruppo dirigente nazionale e periferico della Fiom, non si parlerebbe più di articolo 18. Anzi, se fosse necessario prevedere una deroga per l’incremento dell’età pensionabile prevista dalla recente riforma allo scopo di garantire la pensione anticipata a qualche centinaio di delegati delle principali fabbriche, iscritti alla Fiom, la Ragioneria generale dello Stato, di solito tanto sparagnina, si impegnerebbe a trovare le risorse per la copertura finanziaria.
Non vi sono dubbi: se si mandasse Maurizio Landini a portare a spasso la sua cagnetta nei giardini pubblici di Reggio Emilia (e magari a presiedere la bocciofila di Cavriago), l’Italia potrebbe mandare ai mercati un segnale forte, dimostrando di essere diventata un Paese normale, con un sindacato normale, pronto a difendere gli interessi dei lavoratori senza sfasciare le aziende. La storia dei rapporti della Fiom con la Fiat è troppo nota per essere ulteriormente commentata. Forse qualcuno, a Wall Street, avrà chiesto a Mario Monti il motivo per cui un gruppo automobilistico internazionale che si ostina a restare, a investire e ad assumere in Italia, per di più nel Mezzogiorno e addirittura in Campania (Roberto Saviano si è fatto conoscere ovunque) venga perseguitato da un’organizzazione sindacale con una tenacia inflessibile, anche a costo di perdere iscritti e influenza in quegli stabilimenti. Ma ci sono altre prodezze del sindacato dei metalmeccanici della Cgil, di cui si parla poco, nonostante la loro estrema gravità.
Leggiamo sul Quotidiano nazionale di giovedì scorso un articolo (“Cambia lo sciopero, i duri Fiom diventano creativi”, a firma di Marco Girella), di cui ci stupisce il tono scherzoso con cui l’autore commenta gli avvenimenti che descrive. Siamo a Zola Predosa, nella cintura industriale bolognese. Presso la sede dell’Amministrazione provinciale (poi si dice che le Province dovrebbero essere abolite!) ha avuto luogo un incontro tra il management della ditta Marzocchi (di proprietà della Tenneco, una società yankee) e la Fiom Provinciale (il cui gruppo dirigente è alla sinistra di Landini). Oggetto del confronto – a quanto è scritto – sono gli investimenti nei prossimi tre anni.
Evidentemente l’azienda ha affermato che sono fatti suoi e che le decisioni si prendono Oltreoceano. Che cosa combinano, allora, il sindacalista Nicola Patelli e i delegati della Fiom? Come scrive divertito (chissà perché, poi?) il giornalista, si fanno «venire in mente un modo di tenere duro senza pesare troppo sulle tasche degli operai». Ciò premesso, non ci resta che seguire, stupefatti, il racconto. «Da lunedì prossimo il lavoro si ferma un quarto d’ora a turno. Prima chi ha un numero di matricola pari, poi chi ce l’ha dispari. La settimana dopo – i lettori facciano bene attenzione – si astiene un quarto d’ora chi ha un numero di scarpe pari, seguito da chi ce l’ha dispari. Poi – udite ! udite ! – si potrà distinguere lo scioperante dal colore degli occhi, dei capelli, oppure dalla pelata, in una nuova entusiasmante variazione. Il tutto – ecco l’incredibile conclusione – per creare problemi alla produzione, visto che la Marzocchi vende nel settore automotive e i clienti chiedono pezzi in tempo reale. Oggi per domani, al massimo».
Perché la Fiom ha dato vita a un siffatto zibaldone? La risposta dei sindacalisti è che loro stanno chiedendo «garanzie sulla volontà della Tenneco di far prosperare l’azienda». Siamo, dunque, alla follia, al luddismo. A quanto pare la Mazzocchi è un’azienda sana, confeziona un buon prodotto e ha un portafoglio con ordini. Non propone riduzioni d’orario, cassa integrazione o licenziamenti. La Fiom le chiede di essere indovina e di sapere ciò che succederà tra alcuni anni e di prendere su quella base impegni precisi. Inutile replicare che era molto più facile di oggi fare previsioni quando nell’antichità si osservava il volo degli uccelli o si esaminavano le viscere di una giumenta sacrificata al dio di turno.
Questa storiaccia, comunque, è finita bene: il management italiano ha ceduto al ricatto, promettendo tutto ciò che gli è stato chiesto. La Fiom canta vittoria e gli scioperi “creativi” rientrano. Ma le promesse estorte con la violenza sono scritte sull’acqua. La morale però è un’altra. La Fiom voleva che l’azienda avesse un avvenire, ma nel frattempo era disposta a causarle difficoltà serie sul mercato. Insomma, era pronta a uccidere per troppo amore. E la multinazionale Tenneco doveva stare a guardare e subire i capricci di un’organizzazione irresponsabile.
Domanda: ma se gli americani decidessero tra un po’ di chiudere bottega e di andarsene in un Paese dove il sindacato non sega il ramo su cui è seduto, qualcuno potrebbe biasimarla?
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