Con l’approvazione del decreto milleproroghe è lecito presumere che sia finito quanto meno il primo tempo della riforma Fornero. Il Pd, nella sua versione hard alla Camera, continua ad affermare che il discorso delle pensioni non è chiuso, ma è ormai evidente che la questione delle risorse condizionerà ogni ulteriore modifica, anche se di problemi aperti ne rimangono parecchi.



Il governo ha promesso che taluni aspetti saranno affrontati e risolti in sede di riforma degli ammortizzatori sociali. Si tratta però di un’eventualità remota, visto che la riforma stessa è destinata a slittare nel tempo. Come sempre, in tema di pensioni, il diavolo si nasconde nella transizione. In sostanza, il punto è sempre lo stesso: come tutelare chi, per effetto dell’incremento dell’età pensionabile, sia a costretto a rimanere senza reddito, senza assistenza e senza pensione per un arco temporale più o meno lungo.



Il decreto inizialmente aveva previsto una certa copertura (con l’applicazione dei requisiti previgenti) per quanti si trovavano in regime di mobilità, di prosecuzione volontaria oppure erano inclusi in un fondo di solidarietà. Poi è scoppiata la questione degli esodati, ovvero di coloro che avevano sottoscritto degli accordi collettivi o individuali di dimissioni in cambio di extraliquidazioni ragguagliate al periodo che li separava dalla pensione. Essendosi questo traguardo spostato in avanti, costoro si sono trovati all’improvviso a dover fare fronte ai loro impegni di vita quotidiana con le medesime risorse, ma per un tempo più lungo, spesso di anni.

La soluzione è stata dettata dalla necessità, ma non sembra convincente, perché si sono incluse talune coorti imprecisate di esodati all’interno delle deroghe già previste; e lo si è fatto a parità di copertura finanziaria, aggiungendo una clausola di salvaguardia che consentirà, quando verranno meno gli stanziamenti, di aumentare – il che non aiuterà certo le imprese e l’occupazione – il costo del lavoro, agendo sulle aliquote degli ammortizzatori sociali. Alcuni correttivi sono stati apportati al Senato (l’applicazione delle previgenti regole a coloro che sono sospesi dal lavoro per finalità di assistenza di parenti disabili). Ciò nonostante, sono rimaste scoperte importanti sacche di esodati, ancorché individuati sulla base di accordi collettivi (non essendo stato possibile allungare al 31 dicembre il termine di ammissibilità degli accordi stessi), mentre restano del tutto privi di protezione (è molto arduo trovare delle soluzioni per loro) quanti hanno perso individualmente il posto di lavoro, magari perché licenziati senza avere neppure l’opportunità di negoziare delle extraliquidazioni, al pari degli esodati assistiti dai sindacati o comunque garantiti da accordi sottoscritti ai sensi del codice di procedura civile.

Sempre al Senato è stata infilata una norma a garanzia della continuità di erogazione delle pensioni ai lavoratori esposti ad amianto, con l’avvertenza che, se interverranno provvedimenti giudiziari a contestazione del diritto (vi sono molti casi aperti), le prestazioni ricevute dovranno essere restituite. In tale contesto – capisco che il ragionamento va a colpire un tabù radicato e molti interessi concreti – ci sarebbe da chiedersi se sia stata opportuna la correzione delle regole del pensionamento anticipato per quanto riguarda il caso dei cosiddetti precoci e se non sarebbe stato meglio allocare le risorse impiegate a tale scopo sul fronte degli esodati.

Tutto ciò premesso resta inevasa la domanda posta più volte: se sono necessarie deroghe per parecchie decine di migliaia di soggetti (65mila in mobilità e un numero non definito per gli esodati) non sarebbe stato il caso di muoversi secondo una linea di maggiore gradualità seguendo il percorso delle riforme precedenti (quote ed età minima) magari inasprendone i requisiti anziché cambiare radicalmente impostazione, finendo poi per rimettere in campo il vero “lato oscuro” del nostro sistema: il pensionamento che prescinde dal requisito anagrafico peraltro con una formulazione che, in tema di contribuzione figurativa riconosciuta per determinare il requisito contributivo che consenta di evitare la penalizzazione, non garantisce affatto che il discorso sia chiuso e limitato alle attuali casistiche?

Più il tempo passa, più si rafforza il dubbio che, in materia di pensioni, l’esigenza di mandare dei segnali forti ai mercati e alla comunità internazionale sia prevalsa su ogni altra considerazione, anche solo tecnica. Ma riuscirà il governo a preservare, senza modifiche, un’architettura del sistema pensionistico che mantiene pur sempre parecchie problematiche al suo interno? Rimane poi insoluta la questione delle ricongiunzioni onerose che tante polemiche ha suscitato. Il ministro Fornero ha fatto capire che non vi sono le condizioni per la copertura (a regime, dal 2015, 1,4 miliardi all’anno). Chi scrive ha presentato un emendamento al decreto sulla semplificazione che potrebbe risolvere il problema. Ma si tratta di un’impresa disperata nei tempi che corrono.

Resta da porsi la domanda sul significato della lettera del Presidente della Repubblica sul tema della conversione dei decreti. Sembra evidente che Napolitano prestasse più attenzione a blindare il decreto sulle liberalizzazioni piuttosto che a sottoporre a verifica la circostanza, invero singolare, per cui il decreto milleproroghe è stato assunto come occasione e strumento per correggere la riforma Fornero.

Pur tuttavia e in generale, i margini già esigui di iniziativa parlamentare sono divenuti quasi inesistenti, rispetto all’azione del governo che ormai opera solo attraverso decreti legge.