La questione degli “esodati” (ovviamente si usa questa definizione per indicare tutta la platea dei soggetti che devono essere salvaguardati mediante l’applicazione delle regole del pensionamento vigenti prima della riforma delle pensioni del ministro Fornero) è finita al primo posto, nel comunicato di Palazzo Chigi, tra i problemi che il governo si è impegnato a riesaminare “tempestivamente” insieme ad altre materie (la flessibilità in entrata e gli ammortizzatori sociali) dopo che, alla Camera, le forze della maggioranza, proprio in conseguenza di quel solenne impegno, hanno accolto l’invito di approvare entro domani, senza modifiche rispetto al testo uscito dal Senato, il provvedimento per dare la possibilità al premier di recarsi al vertice europeo del 28 e 29 prossimi, esibendolo ai partner europei.



Pertanto, se da Bruxelles non partirà uno tsunami tale da travolgere il governo e con esso l’azienda Italia (chi è convinto che basti staccare la spina alla compagine presieduta da Monti e andare alle elezioni in ottobre, dovrà purtroppo ricredersi quando si accorgerà che il “botto” trascinerà con sé tutto il sistema politico), prima della pausa estiva c’è da presumere che il confronto sugli esodati farà dei passi in avanti, magari attraverso l’iter del testo che la Commissione Lavoro della Camera sta predisponendo.



Le soluzioni in materia non sono semplici perché comportano degli oneri finanziari ingenti. Ma a rendere incandescente la materia ci ha messo parecchio del suo il ministro Fornero, la quale non è stata in grado di impostare un percorso di confronto con i problemi e le richieste provenienti da una prospettiva di onerose tutele necessariamente obbligata ad andare ben oltre i primi 24 mesi dall’entrata in vigore della riforma delle pensioni. Ma di questi aspetti abbiamo avuto più volte occasione di parlare, evidenziando – è convinzione di chi scrive – l’esigenza di una soluzione di carattere strutturale all’interno dell’ordinamento previdenziale, non ritenendo sensato logorarsi per alcuni anni nel tentativo di tenere in piedi la facciata di una riforma delle pensioni ritenuta tra le più severe in Europa ed essendo costretti, nel medesimo tempo, a portarsi appresso un bagaglio di deroghe. In sostanza, meglio sarebbe prendersi la responsabilità di una realistica revisione, in senso di una maggiore gradualità, delle regole del pensionamento.

Ci rendiamo conto di quanto sarebbe difficile un’operazione siffatta in un momento come l’attuale (anche se Hollande dichiara di voler tornare indietro rispetto alle modeste riforme realizzate da Sarkozy, senza che si abbiano reazioni particolari). Sarebbe comunque utile accompagnare le iniziative che si potranno adottare in tema di esodati (a cui applicare le previgenti regole) con l’introduzione, in via sperimentale, di una norma-uscita di sicurezza che possa alleggerire la pressione sulla nuova disciplina del pensionamento ed evitare che, magari il prossimo Parlamento sia costretto a una clamorosa marcia indietro, come accadde a suo tempo con lo “scalone” voluto dal ministro Maroni.

L’idea prende le mosse da una norma riposta tra le pieghe dell’ordinamento, assai poco usata, ma tuttora in vigore fino a tutto il 2015, visto che il progetto Fornero non l’ha modificata. Le lavoratrici – sulla base di quanto stabilito nella legge 243 del 2004, ovvero nella riforma Maroni – possono andare in quiescenza – siano esse dipendenti pubbliche o private o lavoratrici autonome – facendo valere 57 anni di età (a cui si sono aggiunte le finestre mobili di un anno o di un anno e mezzo a seconda della natura subordinata o autonoma dell’impiego) e 35 anni di versamenti alla condizione di sottoporre il proprio trattamento pensionistico al calcolo interamente contributivo anche per la quota antecedente il 1° gennaio 1996. Si tratta, com’è noto, di un’opzione facoltativa che potrebbe essere estesa agli uomini e rivisitata con qualche ritocco che riportiamo di seguito.

Secondo la proposta di chi scrive la pensione anticipata potrebbe essere conseguita alle seguenti condizioni: a) in via sperimentale dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2014, in presenza di un’anzianità contributiva pari a 35 anni, facendo valere un’età, comprensiva del periodo occorrente per l’esercizio del diritto, pari o superiore: a 58 anni per le lavoratrici dipendenti e a 59 anni per le lavoratrici autonome; a 59 anni per i lavoratori dipendenti e a 60 per i lavoratori autonomi; b) in via sperimentale dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2017, è consentito l’accesso alla pensione anticipata in presenza di un’anzianità contributiva pari a 35 anni, facendo valere un’età, comprensiva del periodo occorrente per l’esercizio del diritto, pari o superiore a 60 anni per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti e a 61 per anni per i lavoratori e le lavoratrici autonome; c) nei casi di cui alle lettere a) e b) il trattamento pensionistico è liquidato interamente con il sistema di calcolo contributivo, anche con riferimento all’anzianità contributiva maturata prima del 1° gennaio 1996. Entro il 31 settembre 2017 il Governo trasmette alle Camere una relazione sugli effetti della sperimentazione ai fini di una sua eventuale prosecuzione.

È fin troppo ovvio che ne deriverebbe una penalizzazione economica importante. Ma dovrebbe essere salvaguardata la piena capacità di opzione da parte dei soggetti interessati. Inoltre, se attraverso questa perigliosa scorciatoia si risparmiassero lunghi anni di lavoro, varrebbe sicuramente la pena di continuare a provarci.