Non occorre molta fantasia per immaginare che cosa sarebbe successo se, durante il governo Berlusconi, Maurizio Sacconi e Renato Brunetta avessero manifestato i dissensi – anche pubblici – intervenuti tra i loro successori Elsa Fornero e Filippo Patroni Griffi, a proposito di un tema di non scarso rilievo come la disciplina del licenziamento individuale dei pubblici dipendenti, nel contesto di una revisione complessiva di quanto disposto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.



I Pc delle grandi firme dei quotidiani, a cominciare dalla coppia Rizzo&Stella, avrebbero partorito commenti infuocati, le opposizioni starebbero raccogliendo le firme per una mozione di sfiducia ad personam, e tutti sarebbero impegnati a chiedere le dimissioni di un esecutivo che ha al proprio interno linee tanto differenti. Si sa, nel caso del governo Monti la protezione è invece totale, come se anche in politica si potessero adoperare le creme contro le scottature solari. Così, da settimane i due ministri si punzecchiano, si scambiano dichiarazioni polemiche, ciascuno difendendo le proprie scelte, mentre i Soloni della carta stampata e i conduttori dei talk show, nicchiano e temporeggiano, anche se, in fondo, parteggiano per il titolare della Funzione pubblica che si è rifiutato persino di indirizzare al totem dell’articolo 18 una timida pernacchia (ben altro spessore quello del “pernacchio” nella scena finale del film cult “L’oro di Napoli”) racchiusa nel disegno di legge Fornero.



Poi, all’improvviso ieri sera, forse su invito del premier, i “duellanti” hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, in cui ognuno continua a dire la sua. Il fatto è che i due ministri non solo sono componenti dello stesso governo, ma hanno negoziato con i medesimi interlocutori sindacali, i quali, avendo ottenuto da Patroni Griffi l’intangibilità, nel pubblico impiego, della reintegra nel posto di lavoro, sono in grado di sostenere che quella è la loro convinzione, mentre sono stati costretti, nel mondo del lavoro privato, a subire le pur caute modifiche dell’articolo 18 soltanto in conseguenza delle insistenze dell’esecutivo.



Diciamo subito che ci sentiamo più orientati a condividere e ad appoggiare le risolute (e un po’ sgarbate) posizioni della titolare del Lavoro. Almeno in via di principio, perché è vero che la nuova disciplina sui licenziamenti nel settore privato non sarebbe stata immediatamente applicabile al pubblico impiego, ma avrebbe richiesto delle norme di coordinamento, soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto licenziamento per motivi economici. Ci offende, però, come cittadini, dover pensare che, nella pretesa di evitare in tutti i modi ogni possibilità di indennizzo al posto della reintegra nel posto di lavoro, si cela a malapena una concezione “sacrale” del pubblico dipendente, del tutto destituita di fondamento nella realtà quotidiana. Come se il travet fosse meritevole di un privilegio soltanto perché svolge la sua opera all’interno di un’amministrazione pubblica.

Anche in questo settore, la controversia è pur sempre sottoposta all’esame di un giudice a cui è riconosciuto un modesto margine di autonomia tra ordinare la reintegra o condannare il datore soccombente al pagamento di un indennizzo nel caso di licenziamento disciplinare. Pensare, allora, che con le modifiche contenute nel disegno di legge approvato dal Senato si ledano i diritti degli impiegati pubblici, è politicamente insostenibile. Patroni Griffi potrebbe allora essere giustificato soltanto se, da fine giurista, si fosse accorto che la nuova disciplina del licenziamento individuale è una sorta di vuoto a perdere, un pasticcio a cielo aperto. Confuso, farraginoso, difficilmente interpretabile. Tanto che il ministro ha preferito assumere una posizione di stallo e di attesa, qualificandosi come l’ultimo defensor (mala)fidae.

Se così fosse, il titolare della Funzione pubblica qualche scusante l’avrebbe. Ma non si agisce per il meglio quando invece di andare avanti, magari col piede sbagliato, si rimane fermi o si compiono passi indietro.