Finalmente un provvedimento del Governo Monti che si sforza di tagliare la spesa senza aggiungere nuove tasse e che, anzi, riesce a rimandare di qualche mese la decisione cruciale di aumentare o meno di ben due punti l’Iva. Per di più un bel po’ di quelle risorse risparmiate, nella spending review, serviranno a includere nel perimetro delle salvaguardie (ovvero riconoscendo loro il diritto di andare in quiescenza con le regole previgenti rispetto alla riforma contenuta nell’articolo 24 del decreto Salva Italia) altri 55mila esodati, estendendo così a 36 mesi l’ombrello protettivo inizialmente previsto per i 24 successivi all’entrata in vigore della legge.
Certo, su questo problema si erano create aspettative ben maggiori, in quanto i criteri di individuazione dei soggetti interessati restano limitati e severi e, soprattutto, finiscono per garantire quanti hanno beneficiato di accordi di carattere collettivo, mediati tra le parti sociali e il Governo, senza includere, invece, chi ha trattato individualmente – ancorché in sede pubblica – le condizioni della propria uscita dal lavoro. Ne deriva che il tormentone degli esodati non finirà con questi provvedimenti, ma si proietterà in campagna elettorale e nella prossima legislatura.
Sarebbe già tanto se in questi mesi fossero definiti con chiarezza i contorni del problema e individuata, almeno in termini programmatici, la platea dei soggetti interessati nell’arco dei prossimi anni. Perché alla fine occorrerà precisare in modo trasparente il confine che separa coloro che dovranno lavorare più a lungo in conseguenza delle nuove disposizioni da quanti sono a rischio di perdere ogni tipo di sostentamento a causa di eventi – intervenuti prima dell’entrata in vigore delle nuove norme che hanno innalzato i requisiti del pensionamento – interruttivi dei loro rapporti di lavoro.
Tenendo altresì presente che l’accesso al pensionamento è certamente la soluzione più facile e più ambita per chi perde il lavoro in età matura, ma non la sola possibile. Anche se, per trovare soluzioni diverse (come, ad esempio, il re-impiego dei lavoratori anziani rimasti senza lavoro) occorrerebbero capacità e iniziative di cui il sistema non ha sempre dato prova di essere all’altezza.
Ovviamente, la manovra dovrà essere approfondita nei suoi diversi aspetti. Fin da ora, però, si nota l’evidente presa di distanza del Pd e di tutto quel variopinto mondo (cultural-sindacal-mediatico) che si riconosce nella sinistra. Da certe argomentazioni sembrerebbe che al Governo fosse tornato il Cavaliere. Fate caso, ad esempio, a come si commentano i tagli agli istituti di ricerca. O quelli, invero modesti, al pubblico impiego, dove si prosegue nella linea impostata da Renato Brunetta, con blocchi del turn over, delle retribuzioni e con prepensionamenti.
Ma il clou sta negli interventi sul Servizio sanitario nazionale. Nel 1978, quando il Ssn venne istituito, Enrico Berlinguer disse che in quella legge vi erano «elementi di socialismo» (dimenticando di aggiungere l’aggettivo «reale»). Non si comprende dove starebbe la “macelleria sociale” (il termine è stato adottato pure dalla Confindustria dopo i giri di valzer tra Camusso e Squinzi). Forse nel taglio annunciato di posti-letto? Siamo seri. Quando non sono in corso rischi di interventi razionalizzatori, tutti si scagliano contro gli ospedaletti di provincia, dicendo che, in realtà, sono poco più che infermerie, del tutto inadeguate ad affrontare patologie di una qualche gravità.
I servizi televisivi, a caccia di episodi di malasanità, ci propinano casi di persone ricoverate in questi presidi, poi costrette ad andare altrove per poter disporre delle cure necessarie, sottoponendosi a veri e propri esodi, spesso con conseguenza letali. Gli assessori regionali alla Sanità, quando sono in vena di dire la verità, raccontano, nelle tavole rotonde, le difficoltà che incontrano nel ristrutturare o chiudere i piccoli ospedali di provincia, divenuti centri di spesa pressoché inutili. A loro tocca affrontare numerose opposizioni organizzate e promosse dal personale dei nosocomi e soprattutto dai primari (veri e propri generali senza esercito) che riescono a sollevare le proteste delle autorità locali e delle comunità, per le quali avere un ospedale sotto casa è una questione di prestigio e di (apparente) comodità; ma senza sicurezza.
Ci raccontiamo queste storie da sempre, salvo dover constatare che, ogni qual volta si affronta il problema della chiusura di tali strutture, gli interessi colpiti si travestono da grandi questioni di principio. Lo avete notato? Ogni portantino, ogni usciere e ogni bidello (chissà perché le pulizie nelle scuole non possono essere affidate in appalto?) impersonano di per sé una particella di quel socialismo di cui parlava Berlinguer.