Nel Rapporto 2012 “La finanza pubblica in Italia”, edito da Il Mulino e curato da Alberto Zanardi (il quale svolge, in apertura, un’ampia e accurata introduzione), viene affrontato, in un saggio a firma di Carlo Mazzaferro e Marcello Morciano, il tema della riforma delle pensioni alla luce della riforma Monti-Fornero. Al di là di una sintetica ma chiara esposizione dei contenuti dell’articolo 24 del decreto legge n. 201 del 2011 e delle successive modifiche, vengono considerati gli effetti economici e sociali del provvedimento con riguardo all’evoluzione del mercato del lavoro e delle dinamiche demografiche attese entro il 2050. Dai dati riportati e messi a confronto nel testo, emergono, ad avviso di chi scrive, non solo l’opportunità ma anche la coerenza delle principali misure della riforma del 2011, per quanto riguarda le loro conseguenze sia sulla forza lavoro, perché aumentano i soggetti previsti, sia sullo stock dei pensionati che decrescerà invece del 10% nei prossimi 10 anni.
La riforma Fornero, infatti, ha creato i presupposti per un cospicuo incremento dell’età media di pensionamento. Ciò deriva, in ragione della permanenza al lavoro di 170-200mila lavoratori all’anno, dal superamento del trattamento di anzianità, con risparmi crescenti in futuro: da 600 milioni nel 2012, a 5 miliardi nel 2015, a quasi 11 miliardi nel 2018. La simulazione illustrata nel saggio si dispiega dal 2012 al 2050, quando l’età media della popolazione attiva passerà dai 41,2 anni nel 2012 a 44,5 anni a metà del secolo. Per quanto riguarda, invece, l’evoluzione dell’età media della popolazione italiana nel suo complesso, si avrà un incremento di 5,8 anni passando da 43,7 nel 2012 a 49,5 anni a fine periodo.
Si stima, nel saggio, che il peso della popolazione italiana con più di 55 anni sia destinato a raddoppiare (dal 12,1% nel 2012 al 25,1% nel 2050, ovvero da 3 milioni a 6,2 milioni di unità); mentre la popolazione compresa tra 18 e 35 anni scenderebbe di oltre 7 punti (dal 31,1% a inizio, al 28,6% alla fine del periodo). Come agisce la legge Fornero in tale contesto? Le regole che vi sono previste assecondano e accompagnano i processi reali, in quanto, a fine periodo, l’età media al pensionamento salirebbe di 6,5 anni. E il tasso di sostituzione subirebbe sì una flessione, ma tutto sommato economicamente contenuta e socialmente sostenibile (dal 64% al 57% del reddito dell’ultimo periodo lavorativo).
Ecco perché la riforma voluta e realizzata da Elsa Fornero (ingiustamente negletta da noi) deve essere difesa nel suo impianto di fondo. Certo, la passata legislatura non era stata del tutto inutile fino all’avvento del governo Monti. Alcune misure di carattere strutturale (poi confermate e ribadite nel nuovo progetto) erano già state realizzate da Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi (penso all’aggancio automatico con l’attesa di vita, alla parificazione uomini-donne per quanto concerne la vecchiaia nel pubblico impiego e all’avvio dell’armonizzazione di genere anche nel mondo del lavoro privato). Il quid che ci ha messo Elsa Fornero sta tutto nell’introduzione pro rata del calcolo contributivo e della manomissione del trattamento di anzianità.
È quest’ultimo il punto ancora insidiato con il pretesto degli esodati, i quali, man mano passa il tempo, risultano essere in numero inferiore a quello ipotizzato con poca fantasia e tanto opportunismo.