Ieri, oggi e domani sono in agenda degli incontri del Governo con le Parti sociali. Ieri è stato il turno dei sindacati, oggi e domani quello delle associazioni imprenditoriali. Il tema è la legge di stabilità che l’esecutivo dovrà presentare preventivamente (e per fortuna!) a Bruxelles entro la metà del mese corrente. Soppesando le richieste della parti sociali e tenendo conto delle promesse del governo viene da pensare che, all’improvviso, dopo aver sofferto gli effetti di tanta austerità, qualcuno a Palazzo Chigi abbia trovato, in un’antica pergamena, la ricetta per moltiplicare i pani e i pesci; così tutti si apprestano a desinare con abbondanza e in grande allegria.
Se non andiamo errati, se non ci fa velo la simpatia irrefrenabile per Angela Merkel (tanto che a noi pare bellissima anche come donna) ci sembra di ricordare che, durante una visita un po’ freddina, il commissario europeo Olli Rehn ci invitasse a fare attenzione ai saldi di bilancio perché a suo avviso (in sostanziale conformità con le previsioni dell’Ocse) eravamo in procinto di sforare quel tetto del 3% che c’eravamo impegnati a rispettare quando avevamo ricevuto il via libera da Bruxelles per la restituzione di parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese.
Mettiamo pure che non diventi un problema insormontabile rientrare nei parametri senza che sia necessaria una legge di stabilità tutta “lacrime e sangue”; ma ci rendiamo conto di quanto è stato caricato e sta per esserlo ancora su questo provvedimento? Cominciamo dalle decisioni prese. La legge di stabilità dovrà trovare le coperture per la soppressione delle ulteriori rate dell’Imu e di conseguenza dovrà indicare uno strumento (l’imposta sui servizi?) in grado di non lasciare i Comuni “in braghe di tela”, tanto più in vista dell’inverno. Si aggiungono a questo impegno già assunto le questioni dei cosiddetti esodati e del rifinanziamento della cig in deroga (quando cominceranno a pagarsela i soggetti interessati?).
E qui si chiude il capitolo scritto fino ad ora. Quello nuovo si intitola “riduzione del cuneo fiscale e contributivo”. Si tratta di una misura sollecitata dall’Unione e dagli altri consessi internazionali, tanto che Enrico Letta è stato formalmente invitato a provvedervi in occasione del vertice del G20 a San Pietroburgo. Una misura – la riduzione della tassazione sulle imprese e sul lavoro – che è richiesta a gran voce anche dalle Parti sociali in Italia: ma non è ben chiaro riguardo a chi tale riduzione debba operare, se a favore delle imprese, come avvenne con il governo Prodi, o dei lavoratori.
L’ammontare del taglio di cui si parla, con gradimento di sindacati e imprese, è pari a 5 miliardi. Una cifra importante, ma abbastanza inadeguata. In un precedente articolo abbiamo ricordato uno studio di Renato Brunetta (contenuto nel blocco di slides n.568) da cui emerge che il cuneo fiscale del fattore lavoro ammontava, nel 2012, a 386 miliardi di euro, di cui 166 miliardi dal gettito Ire e 220 miliardi dai contributi sociali. La componente tassazione sulle imprese ammontava invece a 71 miliardi, di cui 37 dal gettito Ires e 34 miliardi dal gettito Irap.
In totale 457 miliardi. È fin troppo facile rendersi conto, allora, che i 5 miliardi non saranno sufficienti a determinare o una maggiore competitività delle imprese o una ripresa dei consumi ora stagnanti. Per avere una qualche utilità sarebbero necessarie misure fortemente selettive o a favore dell’occupazione giovanile oppure con riguardo ai settori dell’export, per aiutarli a tenere il passo della competitività sui mercati internazionali. Che il problema esista è certamente vero e dimostrato. L’Istat (con riferimento al 2010) ha calcolato il valore medio del cuneo in una percentuale pari al 46,2% sull’intero ammontare del costo del lavoro ovvero come differenziale tra l’onere complessivo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta in busta paga.
Ciò significa che la ritenuta media corrisponde a 14.350 euro l’anno ovvero che a fronte di un onere medio annuo di 31.038 euro in busta paga rimangono 16.687 euro. Ma dove e come tagliare? Abbiamo visto che la quota più significativa del cuneo è quella relativa ai contributi sociali (inoltre, ricordiamo solo per inciso che, con l’Irap, le Regioni finanziano più o meno la metà della spesa sanitaria). I margini di fiscalizzazione di questi oneri (che è arduo definire “impropri”) sono, più che modesti, inesistenti.
Si può intervenire allora sulla quota direttamente dovuta al fisco? È molto difficile, tuttavia, compiere operazioni in materia fiscale sulla base di criteri professionali (lavoratori e pensionati) e non reddituali. Vuol dire che seguiremo con attenzione la formazione della legge di stabilità auspicando che il governo si dia una politica coerente che non sia più simile, come quella dei mesi che abbiamo alle spalle, a una ricognizione delle promesse elettorali che Pdl e Pd avevano fatto, ciascuno per suo conto, al proprio elettorato.