Carla Cantone, ineffabile leader del sindacato dei pensionati (Spi-Cgil) che vanta più iscritti in Europa (e forse nel mondo occidentale), ha fatto la figura di quel personaggio interpretato da Ugo Tognazzi che indossa la divisa da Federale il 25 aprile del 1945. Pochi giorni prima di quel fatidico 8 dicembre in cui si è svolta l’elezione coram populo del segretario del Pd, quando ormai si profilava la valanga di voti per Matteo Peter Pan Renzi, la segretaria ha inviato una lettera agli iscritti in cui li invitava a votare per Gianni Cuperlo, esponendosi in prima persona in suo favore.
Poiché non ho simpatia per nessuno dei tre candidati al soglio di quello che fu (con l’aggiunta della sinistra Dc) il partito di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer (come scandiva la cantilena intonata nei “giorni della gloria”), non mi interessa scomodare il principio dell’autonomia del sindacato nei confronti del partito. Probabilmente, anche le Trade Unions, ai tempi del Congresso del Labour Party, diedero il loro appoggio a Ed, quello dei fratelli Miliband che aveva presentato una piattaforma più tradizionalista dell’altro (David) e che poi risultò vincitore.
Pure Cuperlo aveva predisposto un programma vetero-sindacale, tutto incentrato sulle rivendicazioni che si sparano nei comizi: tagli al cuneo fiscale e contributivo, tutela degli esodati, ripristino della rivalutazione dei trattamenti pensionistici, revisione della riforma Fornero, lotta senza quartiere al cosiddetto precariato in nome di una tolemaica stabilità dell’impiego. Il suo, pertanto, sarebbe stato un Pd Cgil-dipendente, pronto a “obbedir tacendo e tacendo morir”.
Al contrario, Matteo Renzi, nella sua ricerca di “nuovismo” a tutti i costi, non si era fatto mancare nulla (in verità con maggiore cautela nelle posizioni assunte di quella che gli viene di solito riconosciuta) di politicamente scorretto, se si trattava di tirare qualche sasso nella piccionaia del sindacato (a volte commettendo, però, dei veri e propri strafalcioni, perché le sciocchezze restano tali anche se sono nuove e inedite). Non desta più di tanto meraviglia che nella Cgil fosse preferita la piattaforma genuinamente socialdemocratica di Cuperlo rispetto a quella blairiana “de noantri” del sindaco di Firenze.
Lo si capiva a sufficienza dalla dichiarazione di non partecipazione al voto di Susanna Camusso che aveva un preciso significato: non voto per Renzi, ma non metto la Cgil in difficoltà, legandola (come fece a suo tempo Sergio Cofferati con Giovanni Berlinguer) a un candidato sicuramente perdente. Perché che Gianni Cuperlo avrebbe perso nettamente lo si sapeva fin dal primo momento.
Io non ho mai compreso perché nel Pd ce l’abbiano tanto su con Massimo D’Alema – che è sicuramente il più intelligente di tutti ed è stato il solo ex comunista (anzi, il primo e l’ultimo) a varcare la soglia di Palazzo Chigi da presidente del Consiglio -; ma non aveva proprio senso candidare alla segreteria una sua controfigura, un signor Nessuno mandato allo sbaraglio e che ha trascinato nella disastrosa sconfitta tutto l’establishment del partito, dal momento che, pur avendo a suo tempo avuto in tasca la tessera del Pci, Cuperlo ha incassato il 20% dei voti degli elettori e militanti del Pd. Ma Carla Cantone non è stata persuasa, ha voluto scendere in campo e trascinare con sé quella federazione di categoria che vanta circa la metà degli iscritti alla Confederazione rossa.
Lo ha fatto per un atto di testimonianza? Quando si hanno più di 2,5 milioni di iscritti non ci si può permettere la sola testimonianza. In verità, chi la conosce sa che Carla era convinta di essere l’arma segreta; con la sua discesa in campo la situazione si sarebbe capovolta. Confidava veramente che le masse di pensionati si sarebbero recati ai seggi a raddrizzare le sorti di Gianni Cuperlo (pur chiedendosi chi mai fosse quel biondino che non si era mai visto prima). E oggi è costretta a prendere atto che la vera sconfitta dell’8 dicembre è la sua e che in tanta parte del popolo della sinistra che vota Pd, della Cgil e dei pensionati non gliene può fregar di meno. Poco male, Grillo è lì che aspetta a braccia aperte. Poco male se Giuseppe Di Vittorio, Luciano Lama, Bruno Trentin si rivolteranno nella tomba.