Dice un proverbio che Dio li fa poi gli accompagna. Così, tutti i nuovi astri del firmamento della politica si portano appresso un guru a cui è affidata l’elaborazione del pensiero del leader e, in quanto tale, è inseguito da giornali e tv ai quali, di tanto in tanto, dispensa piccole porzioni del suo sapere. Il guru non vive di luce propria, ma riflette, in un sistema politico feudale, quella del suo “Signore”, ma il suo potere è immenso, fino a quando quest’ultimo rimane in auge. Poi, al momento del declino, ritorna in quell’anonimato da cui era venuto.
Il rapporto è tanto stretto che ci si potrebbe persino avvalere, per descriverlo, dei termini di una proporzione, come abbiamo imparato a scuola: Gianroberto Casaleggio sta Beppe Grillo come Yoram Gutgeld sta a Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze è proprio un ragazzo fortunato: qualunque posizione sostenga, qualunque proposta avanzi, le sue levate d’ingegno divengono l’espressione del “nuovo che avanza”. In buona sostanza, Renzi continua ad avere cucita addosso l’immagine confusamente riformista delle “primarie” democratiche del 2012, quando nella sua piattaforma programmatica aveva saccheggiato, qua e là, idee altrui, tra le più “politicamente scorrette” agli occhi dei militanti dei circoli di base. Come se volesse essere irritante per forza, anche a costo di lasciare a bocca aperta l’apparato che, non a caso, si era schierato in massa con Pierluigi Bersani.
Ora Renzi si appresta a essere incoronato segretario del partito nelle “primarie” di domenica prossima. E non esita a rimarcare che nei suoi confronti è cambiato atteggiamento, che non lo considerano più un estraneo e non lo cacciano a male parole dalle manifestazioni, invitandolo a recarsi ad Arcore. Eppure, basterebbero degli analisti e dei commentatori seri e obiettivi a far notare che il primo a cambiare è stato lui, assumendo le posizioni più popolari nella base e nell’elettorato del Pd: no alle larghe intese, sì al bipolarismo muscolare, oltre a un bel po’ di antipolitica spicciola (che non guasta mai, nel momento in cui i Pm si occupano della Regione Emilia Romagna delle cui vicende il giovane sindaco non parla).
Ormai è evidente che i maggiori rischi per l’asse Napolitano-Letta-Alfano vengono proprio da un Pd a trazione renziana. Quanto al programma di politica economica e del lavoro il sindaco-candidato si è adattato alle idee più tradizionali della sinistra, individuando coperture finanziarie, suggerite dal suo guru personale, che riecheggiano di più le cifre di “Ferrini” (uno dei personaggi di “Quelli della notte”) piuttosto che una ragionevole considerazione delle effettive disponibilità economiche. L’ammontare di risorse che viene indicato come risparmi provenienti dal taglio delle cosiddette pensioni d’oro (ben 4 miliardi) è assolutamente inverosimile, a meno che non si intenda sostituire Antonio Mastrapasqua all’Inps con un rinato Girolamo Savonarola, predicatore di povertà. Ma – fateci caso – i temi economici, del welfare e del lavoro non hanno un ruolo centrale nei fantasmagorici discorsi del sindaco-candidato.
Sono passati i tempi in cui, per dar prova di discontinuità, Renzi si avvaleva, in materia di lavoro, delle elaborazioni “maledette” di Pietro Ichino. Che poi – detto tra noi una volta per tutte – non sono un granché, ma prefiguravano soluzioni molto complicate e di difficile realizzazione, che però – vox populi vox dei – si sono guadagnate la patente dell’innovazione applicata. Del programma economico e sociale di Renzi parlano di più gli avversari, accusandolo delle peggiori nefandezze: di voler abolire lo Statuto dei lavoratori, abrogare l’articolo 18, sviluppare i contratti di lavoro flessibili e quant’altro incrementi la precarietà. Ma a leggere le carte, non si trova traccia di tutto ciò, ma solo un peana all’ovvio, che in quel mondo acquista il sapore della trasgressione.
Matteo, il Peter Pan della politica italiana, è un asso nel non dire nulla, ma nel saperlo dire benissimo. Del resto se non fosse così, come potrebbe convincere il popolo della sinistra a seguirlo nella ricerca dell’“Isola che non c’è”, raccontando di avere lui le mappe per trovarla? Tutto sommato, a noi pare che il Renzi vero sia quello imitato da Maurizio Crozza. Quando un comico è bravo (ancorché settario) è capace di tracciare una caricatura del personaggio a cui fa il verso, cogliendone gli aspetti più veri. Del resto, nessuno ha mai descritto Fausto Bertinotti meglio di Corrado Guzzanti.