E’ la solita storia. In questo povero Paese – il cui destino tragico è stato decretato da magistrati che dopo aver sfasciato la politica hanno preso di mira la struttura produttiva, da movimenti eversivi che manderanno tanti loro rappresentanti in Parlamento, da giornalisti e conduttori felloni che da anni denunciano uno sfascio delle istituzioni contribuendo alla fine a provocarlo – le notizie positive, in grado di fornire ancora un barlume di speranza, vanno taciute e, se possibile, segretate. Guai a farle diventare “buone pratiche”.
Pensate che esageriamo? Che la nostra denuncia sia dettata soltanto dall’angoscia di vedere tante persone perbene spernacchiate quotidianamente dai pizzicagnoli appartenenti alla cosiddetta società civile soltanto perché “fanno politica”? No. Abbiamo le prove di quanto affermiamo. Tanto che ci basta porre una domanda: quanti sono coloro che hanno sentito parlare dell’accordo sottoscritto recentemente alla VM di Cento (Ferrara) e sottoposto a referendum?
C’è voluto un giornalista serio e attento come Diodato Pirone de Il Messaggero per raccontare la storia di questo accordo. E lo ha fatto in solitudine, perché a fare notizia non è il cane che morde l’uomo, ma il contrario. Fuor di metafora, l’eroe dei media è Maurizio Landini, il sindacalista che non firma accordi e che agita come una clava la sua personale interpretazione della Costituzione. Invece, in Italia, ci sono ancora dei sindacalisti – sono la grande maggioranza – che sanno ancora esercitare il loro mestiere, ma devono farlo di nascosto, raccomandando il silenzio, allo scopo di evitare che sulle loro azioni – compiute onestamente nell’interesse dei lavoratori – si accendano i fari dell’ideologia con i soliti effetti devastanti.
Ma torniamo a parlare della VM. La fabbrica produce motori diesel per auto e ha una lunga storia alle spalle spesso molto difficile e travagliata. Negli ultimi decenni ha cambiato più volte proprietà, fino a quando parte del pacchetto azionario è stato acquistato dalla Chrysler. Così, poco dopo, lo stabilimento (1.100 dipendenti) è finito tra le braccia della Fiat, in condominio con l’altro socio, anch’esso Usa, la GM, che sarebbe intenzionato a cedere la sua quota a Fiat-Chrysler. Un vero colpo di fortuna per l’antica VM, a cui è stata subito affidata una commessa per produrre il motore diesel della Maserati. Ma non basta, perché Sergio Marchionne ha deciso di piazzare il motore VM anche sul mercato europeo e americano. In parole povere, la produzione deve passare dai 54mila motori del 2012 ai 90mila del 2013 per poi stabilizzarsi, dal 2014, a quota 110/130mila. Tutto ciò con investimenti pari a 80 milioni (chi ha detto che Marchionne non ne fa?) per una società che ha un fatturato di 300 milioni. Così, per stare al passo la VM deve assumere, a tambur battente, altre 300 persone.
Si è aperto allora il confronto con le federazioni provinciali dei metalmeccanici a cui l’azienda ha posto l’esigenza di cambiare l’organizzazione del lavoro e di ridurre le pause concordate nel 1993, pari 63 minuti su 8 ore, allineandole con gli standard medi europei (30/40 minuti). La Fiom, more solito, si è messa a nicchiare: guai a chi tocca le pause. Ma il buon senso emiliano non si è fatto intimidire: la Regione ha stanziato risorse importanti per la formazione dei nuovi assunti; l’amministrazione comunale ha autorizzato l’acquisto di una fabbrica vicina dismessa. Ma soprattutto ci si è chiesto come fosse mai possibile rifiutare 300 assunzioni in una fase di crisi nera e in una zona colpita dal terremoto.
La VM ci ha messo del suo accettando di ridurre a 51 i minuti di pausa in cambio di 450 euro l’anno come premio di produttività (tassato solo al 10%). L’accordo è quasi da manuale: si stabilisce che il 26% dei nuovi assunti debba essere costituito da donne e che 200 saranno apprendisti. Eppure il negoziato ha rischiato di saltare più volte (la Fiom è il sindacato egemone), tanto che a gennaio l’azienda parlava di delocalizzare parte della produzione in uno stabilimento Fiat di Foggia, con tanti lavoratori in cassa integrazione. Poi la svolta: anche la Fiom ha sottoscritto l’accordo, che poi è stato sottoposto a referendum.
Dal voto sono stati esclusi 350 ingegneri e impiegati con il pretesto che queste categorie non sono interessate alla revisione dell’orario di lavoro. Come se il problema fosse quello della pausa caffè (elevato a diritto indisponibile) e non il futuro di un’azienda che dà lavoro a tante persone e che ne vuole assumere delle altre. E si badi bene: quei lavoratori hanno conosciuto in passato la minaccia della chiusura, la cassa integrazione e la prospettiva del licenziamento. Nel referendum i sì vincono con il 75% dei voti (638), ma ben 206 dipendenti votano contro.
La volontà dei lavoratori non lascia dubbi. Ma a chi scrive 206 operai che si assumono la responsabilità di opporsi a 300 assunzioni (la realtà è questa), fanno molta impressione. A fronte poi di 12 minuti in meno di pause. Lavorare sicuramente stanca e anche un minuto di pausa è importante. Ma non è un bel segnale accorgersi che anche assumere può diventare un problema.