L’esordio parlamentare del neoministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Enrico Giovannini, in occasione della presentazione delle linee generali del Dicastero alle Commissioni Lavoro delle due Camere, ci aveva consentito di superare le preoccupazioni riguardanti taluni passaggi presenti nelle comunicazioni sulla fiducia del presidente del Consiglio in tema di lavoro e di welfare, nel senso che, a nostro avviso, esse comprendevano una sintesi di tutte le promesse che i partiti della coalizione redenta (in particolare il Pd, ma anche il Pdl non si era fatto mancare nulla) avevano presentato durante la campagna elettorale. Così, il programma “sociale” del Governo somigliava di più a un cahier de doléances relativo alle riforme del lavoro e delle pensioni dell’esecutivo dei tecnici piuttosto che a un’agenda seria e realistica.



Enrico Giovannini ha dovuto muoversi all’interno del perimetro tracciato dal premier, ma non ha esitato a chiarire che, pur con tutta la buona volontà, i margini sono ristretti e il Governo “ha da sparare un solo colpo” e non può sbagliare bersaglio. È stata, dunque, il rifinanziamento della cig in deroga la priorità del Governo, sia pure con tutte le cautele del caso. Per il resto, Giovannini ha affrontato tutti i punti attinenti al dibattito politico facendo più leva sul pessimismo dell’intelligenza che sull’ottimismo della volontà. Così abbiamo avvertito un meritevole atteggiamento cauto quando il ministro ha parlato, nel campo delle pensioni, di staffetta anziano/giovane, di pensionamento flessibile e di salvaguardia degli esodati oltre a quanto già realizzato. In sostanza, anche per ciò che concerne la legge sul mercato del lavoro del ministro Fornero, Giovannini non intende assumere troppi impegni di cambiamento e si limita a parlare di manutenzione, attentamente sottoposta al previsto monitoraggio degli effetti della riforma da compiere coinvolgendo le parti sociali.



Ci è sembrato, invece, un po’ sopra le righe il contenuto dell’intervista di ieri su La Repubblica ancorché la priorità attribuita al lavoro dei giovani sia totalmente condivisibile. La road map del titolare del Lavoro ha assunto come obiettivo a breve termine (le misure sarebbero pronte entro giugno) la promozione di 100mila nuovi posti di lavoro per i giovani con meno di 24 anni, allo scopo di ridurre di ben 8 punti il tasso di disoccupazione in quella fascia d’età. Le risorse necessarie – tra i 10 e 12 miliardi – dovrebbero venire da una svolta nell’orientamento dell’Unione europea, in occasione del vertice di giugno, dove verrebbe consentito di escludere da tetto del 3% del rapporto deficit/Pil (di cui al trattato di Maastrict) gli investimenti in infrastrutture e quelli destinati a produrre lavoro, oltre all’attuazione, anche in Italia, della youth garantee, il piano (invero un po’ volontaristico) che l’Ue ha predisposto per i giovani.



Ammesso e non concesso che la situazione si sblocchi a livello europeo, quali sono gli strumenti idonei a determinare un’inversione di tendenza nel lavoro dei giovani? Il ministro non crede che vi sia una sorta di pietra filosofale in grado di risolvere tutti i problemi: non a caso di ogni misura – staffetta e pensionamento flessibile, riduzione del cuneo fiscale per chi assume – indica i pro e i contro, nel quadro dei limiti imposti dalle risorse disponibili. Mentre sottolinea con forza il ruolo che potrebbero svolgere nel campo delle politiche attive i centri per l’impiego, prendendosi a carico il placement dei giovani (e delle persone over 50 che perdono il lavoro a cui deve essere riconosciuta un’altra opportunità di impiego e non più il solo accesso anticipato alla pensione).

Per domani il ministro ha convocato le Parti sociali, pur anticipando che si tratterà di una presa di contatto e non ancora di un negoziato vero e proprio. Al suo posto, inviterei le associazioni imprenditoriali e le confederazioni sindacali a predisporre degli avvisi comuni in cui siano individuate, per ora, le incongruenze applicative e le norme irragionevoli che, nell’applicazione della legge n. 92 del 2012 (la riforma del lavoro) sono emerse con maggiore evidenza, allo scopo di fornire così un contributo di orientamento al governo per le modifiche – limitate – da apportare. Poi, staremo a vedere.

Per ora ci domandiamo come potranno le imprese allargare la platea occupazionale in direzione dei giovani, quando saranno chiamate a riassorbire, se ci sarà un po’ di ripresa, la manodopera in cassa integrazione o sospesa comunque dal lavoro. Si dirà che la crisi deve servire a produrre un forte ricambio generazionale: d’accordo; ma chi penserà al personale che ora si trova, magari da tempo, nella rete degli ammortizzatori sociali?