L’Istat ha certificato – più o meno con gli stessi valori resi noti in questi giorni da altri centri nazionali e internazionali – che il trend dell’occupazione, in Italia, non è destinato a migliorare in parallelo con una dinamica fiacca dell’economia che presenterà un segno positivo soltanto a partire da 2014. L’occupazione seguirà questa tendenza, raggiungendo l’11,9% quest’anno e superando il 12% nel 2014. Si noti: solo due o tre anni or sono eravamo tra l’8 e il 9%. Su queste pagine ci siamo soffermati a lungo a commentare i dati dell’occupazione e della disoccupazione, senza prestarci al nuovo gioco di società che va di moda nei Palazzi del potere: quello di attribuire tutte le responsabilità alla legge Fornero (che comunque non è stata d’aiuto per migliorare la situazione). Ci preme, tuttavia, fare qualche premessa metodologica.
I dati statistici, specie se attinenti all’occupazione, sono una materia delicata. Non vanno, pertanto, usati come strumento di lotta politica o come pretesto per animare dei talk show televisivi, che da tempo rappresentano una condizione del Bel Paese talmente grave da scoraggiare chi volesse raggiungere le nostre coste emigrando dal Burkina Faso. Il lavoro è sicuramente un’emergenza, ma è bene delineare un perimetro corretto dei problemi. Per esempio, quando si dice che il 38% dei giovani è disoccupato non si aggiunge quasi mai che, nel fornire questo dato, l’Istat si riferisce alla fascia compresa tra i 15 e il 24 anni e che la percentuale è calcolata sul numero di quanti, in quelle classi di età, hanno un lavoro o lo cercano, e non su tutta la popolazione inclusa in quella fascia. Se questo fosse il riferimento, la quota dei disoccupati sarebbe inferiore all’11%. Non sarà una consolazione, ma almeno sappiamo di che cosa si parla.
Ci aiuta a proseguire in questi ragionamenti un recente studio di Italia lavoro, l’agenzia del Ministero del welfare, in cui si mette a confronto l’andamento dell’occupazione tra il 2007 (l’anno d’oro, in cui, in Italia e nei Paesi Ocse, si raggiunse il livello più elevato di occupazione nei tempi recenti) e il 2012 (in piena crisi economica e lavorativa). Ebbene, se ci fermassimo a considerare, come valore assoluto, gli occupati, ci accorgeremmo, forse con stupore, che, nonostante tutto, il loro numero è aumentato: di 53mila (+0,2%) in Italia.
In valori assoluti anche molte regioni presentano un incremento dell’occupazione sul 2007. Sono 48mila (+1,1%) in Lombardia; 15mila in Piemonte (+0,8%); 50mila in Veneto (+2,4%); 56mila in Emilia Romagna (+2,9%); 44mila in Toscana (+2,9%); 70mila nel Lazio (+3,2%); 13mila in Abruzzo (+2,7%). Altre regioni, quelle del Sud, hanno andamenti del tutto opposti. Per carità di patria ricordiamo soltanto la Campania (-114mila pari al -6,7%) e la Sicilia (-78mila pari al -5,3%), sempre rispetto al 2007.
Il fatto è che, ad accontentarsi dei valori assoluti, non verrebbero considerati quanti, nel frattempo, sono entrati nel mercato del lavoro e non hanno trovato uno sbocco e che compongono la cosiddetta forza attiva. In Italia, nel 2007, erano alla ricerca di un’occupazione 1.503.000 persone; nel 2012 ben 2.744.000 (+82,5%). Il tasso di occupazione, nel periodo, è diminuito in percentuale di 1,9 punti, quello di disoccupazione aumentato di 4,6 punti. In Lombardia, prendiamo il caso di una regione forte e sviluppata, si sono verificati trend analoghi: nel 2007 erano in cerca di un posto di lavoro 153mila soggetti, nel 2012 346mila (+126,6%).
I tassi di occupazione e di disoccupazione sono il risultato di un rapporto: gli occupati o i disoccupati stanno al numeratore; la forza lavoro al denominatore. Anche in un periodo di crisi nera il mercato del lavoro non è mai fermo e immobile. Ma quando cresce l’offerta, come è normale che avvenga, dovrebbe crescere anche la domanda in misura adeguata. Ma ciò non accade da anni. Attendiamo alla prova il nuovo governo. Ma soprattutto speriamo che riparta l’economia.