Per contrastare il conflitto di interessi e il cumulo delle cariche negli enti pubblici il governo ha presentato un disegno di legge programmatico e generico, che non risolve i problemi, ma si limita a rinviarli. In effetti, l’esecutivo si è reso conto che la questione era più complessa di quanto apparisse, ma, al dunque, tutto il polverone mediatico-giudiziario sollevato ha finito per determinare (strumentalmente?) un solo effetto: la rimozione dal vertice del Super-Inps di Antonio Mastrapasqua e la gogna mediatica per lui e la sua famiglia.
Pur di denigrare Mastrapasqua, i media non hanno esitato a procurare allarme sociale, denunciando lo sfascio dell’Inps, sulla base del bilancio preventivo per il 2014, come se fosse colpa del suo ex presidente. Questo sgarbo, Mastrapasqua, un po’ se lo era meritato, perché a lui piaceva – quando le cose andavano bene – attribuirsene il merito. Invece, l’Inps cammina sempre sul tapis roulant dell’economia e delle leggi che ne regolano le prestazioni, le entrate e le uscite. Come gli importanti saldi attivi del 2008 e 2009 derivavano dagli aumenti della contribuzione in tutti i settori da parte del governo Prodi, così adesso i conti in rosso dipendono dalle conseguenze della crisi economica.
Nessuno scrive o dice, però, che, con la prima variazione di bilancio, i saldi, ora in rosso, torneranno in nero – per 13,2 miliardi il risultato d’esercizio e per 20,7 miliardi la situazione patrimoniale – dal momento che il bilancio preventivo non tiene conto degli effetti della Legge di stabilità, la quale ha sistemato, con il riconoscimento di 25,2 miliardi, un problema di carattere finanziario aperto tra lo Stato e l’Inpdap, poi riversatosi in termini negativi nel bilancio del Super-Inps. Pertanto, il quadro dovrebbe migliorare, in particolare nelle gestioni ex Inpdap che, al momento, presentano, per il 2014, un deficit di 8,8 miliardi e una situazione patrimoniale negativa per 26 miliardi.
Dei problemi di carattere strutturale ci sono comunque e Mastrapasqua, in ossequio alle direttive dei governi, sbagliava a nasconderli. I dati stanno a dimostrare, innanzitutto, che la riforma Fornero non è stata approvata solo per “fare cassa”, come si è detto. Grazie al superamento della pensione di anzianità e all’incremento dell’età pensionabile il numero dei trattamenti che saranno liquidati nell’anno in corso finirà quasi per dimezzarsi: da 1,1 milioni nel 2013 a 650mila. Se non fosse stato così, a fronte dei chiari di luna del bilancio preventivo, la situazione sarebbe sicuramente peggiore e non facilmente rimediabile. Quelle misure erano necessarie.
Ancora nel 2010, di fatto, si andava in pensione di anzianità a un’età media di 58,3 anni se dipendenti e a 59,1 se autonomi. Quanto alla vecchiaia, erano 65,4 anni per gli uomini e 60,8 per le donne. Ma dove sta il tarlo del sistema? Da anni il bilancio dell’Inps era in precario equilibrio (pur evidenziando spesso un avanzo d’esercizio) per alcuni motivi di fondo:
1) il sostanziale pareggio del fondo lavoratori dipendenti (Fpld), che è l’architrave dell’intero sistema pensionistico italiano. Erano gli ex fondi confluiti (elettrici, telefonici, trasporto locale, ex Inpdai, ecc., il cui disavanzo complessivo, per diversi motivi, è prossimo ai 10 miliardi) a determinare semmai una situazione di squilibrio del Fpld nel suo insieme;
2) I colossali saldi attivi di due gestioni; 2.1 – quella delle prestazioni temporanee: la cosiddetta previdenza minore tra cui la cig, la disoccupazione, le indennità di malattia e maternità, gli assegni al nucleo famigliare; 2.2 – la gestione dei parasubordinati, ovvero i collaboratori e altri, che essendo stata istituita nel 1996 incassa solo i contributi senza erogare, in pratica, ancora pensioni. Queste due gestioni negli ultimi anni hanno assicurato, insieme e nell’ambito del bilancio unitario, un saldo attivo annuo di almeno 12 miliardi, che è servito a coprire i disavanzi delle gestioni pensionistiche in passivo, in particolare quelle dei lavoratori autonomi. La crisi ha azzerato l’avanzo derivante dagli ammortizzatori sociali. Così di galline dalle uova d’oro ne è rimasta una sola, la gestione separata, il cui saldo attivo previsto, ora di 8,5 miliardi, non è più in grado di andare in soccorso a tutti.
In tale contesto, è drammatica la situazione delle gestioni dei lavoratori autonomi (coltivatori, artigiani e commercianti) con un disavanzo tra gli 11 e i 12 miliardi. Per queste categorie è già previsto un incremento delle aliquote contributive che migliorerà certamente il flusso delle entrate (senza ripristinare, però, un equilibrio di gestione). Siamo sempre alle solite, tuttavia: si aumentano i contributi fino a renderne insostenibile l’onere, ma non si interviene adeguatamente sulla spesa, nonostante le riforme. Non si deve fare confusione, poi, tra l’andamento del bilancio Inps e quello della spesa pensionistica. L’Inps ha al suo interno gran parte del welfare, le pensioni, l’assistenza, il mercato del lavoro, le altre politiche previdenziali tranne gli infortuni e le malattie professionali, gli sgravi contributivi.
In via di principio non è detto che se il bilancio è in disavanzo vi sia anche uno squilibrio nella spesa pensionistica. Nel 2014, però, anche la spesa assistenziale a carico dello Stato, con un ammontare di 112,5 miliardi, avrà un incremento del 6,6%, pari a 7 miliardi, rispetto all’anno precedente. Problemi pertanto ce ne sono, e tanti; anche senza dover scomodare – come si è fatto – quello dei rapporti finanziari tra lo Stato e l’ex Inpdap, che, per fortuna, sembra essere in via di soluzione.