Mi rincresce, ma considero Matteo Renzi un avventuriero spregiudicato e arrogante, a cui non mancano né la furbizia, né la fortuna. Di fronte al “nuovo che avanza” trovo insopportabile quel imperante giovanilismo agitato come una clava e quell’andazzo incomprensibile che ha trasformato in valori l’incompetenza e l’improvvisazione nell’attività di governo. Sono altrettanto consapevole, tuttavia, che non si fa politica con le simpatie e le antipatie. La situazione merita un’analisi più approfondita.



Nelle vicende degli ultimi giorni – il Pd di Renzi sfiducia Enrico Letta e il sindaco detto il Bomba riceve l’incarico di formare il governo – non sono in ballo soltanto talune squallide intemperanze personali o premature ambizioni di un giovane che non ha imparato a stare al suo posto. Al di là di quanto appare in superficie, la questione reale consiste in veri e propri dissensi sulla linea politica da seguire. È in atto un tentativo di cambiare il quadro politico. L’esecutivo presieduto da Enrico Letta era nato per spirito di servizio, per un arco temporale limitato, secondo una logica di larghe intese in continuità con l’esperienza del governo Monti. Caratteristiche che non erano venute del tutto meno anche dopo l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza.



Questa scelta, infatti, era stata una ritorsione contro l’operazione che, con tante scorrettezze, aveva portato alla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. Ma il contesto bipartisan aveva tenuto grazie alla nascita del Nuovo centro destra. Quello che si profila adesso è un governo di legislatura, di diretta espressione del Pd e con un programma di sinistra. Certo, Napolitano, ormai sopravvissuto alla sconfitta del suo disegno, vorrà garantire l’Ue e i mercati con una scelta accurata per il dicastero-chiave dell’Economia. Ma il dato di fondo è un altro: il Pd non era più in grado, soprattutto in vista delle elezioni europee e amministrative, di condividere le politiche del governo Letta – ancora troppo orientate al rigore e al risanamento – e di difenderle con la propria base e con l’elettorato. In sostanza, il governo dell’ex vice segretario metteva in imbarazzo il partito.



Ovviamente questi ragionamenti – che purtroppo si fanno ancora sotto traccia – chiamano in causa il rapporto dell’Italia con l’Unione europea, riproponendo una volta di più il quesito che ci portiamo appresso da anni e che sarà al centro delle elezioni per il Parlamento europeo, non solo nel nostro Paese. Quella del risanamento è stata una delle tante politiche possibili, per giunta rivelatesi sbagliata alla prova dei fatti oppure era è rimane la sola valida, priva di alternative credibili, anche ai fini di promuovere la crescita?

Chi scrive è di quest’ultimo avviso, non solo sulla base di convenzioni personali, ma osservando la realtà sotto i nostri occhi. I paesi che hanno sviluppato politiche di rigore più severe delle nostre (Spagna, Portogallo, Irlanda, persino la Grecia) stanno tornando a crescere prima e più intensamente di noi. Pertanto, la politica del governo Monti non merita le critiche che le vengono rivolte ed è certamente un merito di Enrico Letta (dei ministri economici Fabrizio Saccomanni e di Enrico Giovannini, in particolare) quello di essersi mossi in continuità con la precedente esperienza dei “tecnici” senza farsi sorprendere dalle tentazioni di smontare le riforme del ministro Fornero che serpeggiavano nella maggioranza.

Se il cambiamento significa – come suggerisce anche Romano Prodi – prendere le distanze dall’Ue, il risultato – visti gli impegni sottoscritti dall’Italia – non potrà che essere quello di finire sotto la tutela della trojka in breve tempo: un rischio che finora eravamo riusciti ad evitare. Che il risanamento e il rispetto degli impegni (tra cui quelli derivanti dal Fiscal compact) significhino anche disponibilità di maggiori risorse è provato, per esempio, dal contenimento intorno a 200 punti dello spread e da tassi sui Btp decennali inferiori al 4% (mentre avevano sfiorato l’8% all’apice della crisi).

Basti pensare che il nostro Paese si sta giocando un bonus di 6 miliardi che gli era stato riconosciuto quando aveva portato il deficit sotto il 3%. Il commissario Rehn ha dichiarato pochi giorni or sono che quel contributo per ora è sospeso, perché non è sicuro che noi potremo onorare i nostri impegni (che altro avrebbe potuto dire quando il venir meno agli impegni con l’Ue è una delle ragioni costitutive del governo Renzi?).

Tutto ciò premesso, che cosa potrà capitare nei delicati settori del lavoro e del welfare? Del jobs act non si parla più. Raccontano i bene informati che quando si riunisce di buon ora la segreteria del Pd, la responsabile del lavoro, Marianna Madia, stralunata per la levataccia, si sforzi di far inserire all’ordine del giorno anche il piano promesso. Ma alla fine il jobs act viene accantonato, perché la materia è complicata e non è bastato saccheggiare su internet i siti di Pietro Ichino, de laVoce.Info o di Maurizio Ferrera per scrivere qualche cosa (ben poco in verità) di sensato, compiuto e praticabile. A pensarci bene è proprio l’approccio al programma che trasforma questi giovanotti in tanti Berluschini. Per il Cavaliere la vita vera è quella che si svolge in tv. Così basta che una proposta “buchi lo schermo! perché sia da ritenersi cosa fatta. Anche per i “renziani” sono sufficienti gli slogan: poi, se l’Intendenza seguirà o meno, non ha importanza.

Sarà importante vedere chi prenderà il posto di Enrico Giovannini, il quale meritava di essere riconfermato perché un merito lo ha avuto: ha impedito l’assalto alla diligenza. Per esperienza sappiamo che non si deve attribuire soverchia importanza al totoministri che imperversa sui media. Ma nel caso del lavoro circolano indicazioni prive di un preciso indirizzo: si fanno i nomi di innovatori come Tito Boeri e Pietro Ichino e di conservatori come Guglielmo Epifani e Cesare Damiano. Si è parlato anche di Fabrizio Barca a dimostrazione che non c’è mai un limite al peggio. Comunque finisca questa storia, riteniamo che sia un errore cambiare titolare del welfare nel momento in cui deve partire un’iniziativa importante come la Youth Guarantee, un programma europeo finalizzato all’occupabilità dei giovani, per il quale il ministero sta lavorando da mesi.

Che nel cerchio magico di Matteo detto il Bomba non si avesse conoscenza di questa iniziativa è provato dal fatto che il jobs act non ne fa il minimo cenno. L’Onnipotente aiuti questo povero Paese! Pensando a coloro che ci governeranno viene in mente un’espressione di Robert Musil nel libro “L’Uomo senza qualità”. La principale caratteristica del loro pensiero sta tutta nella “profondità della superficie”.