Domani conosceremo che cosa intende fare il governo Renzi in tema di economia. Sono annunciati provvedimenti per quanto riguarda la casa (dobbiamo intendere misure per rilanciare l’edilizia e il settore delle costruzioni oppure agevolazioni abitative magari a favore delle giovani coppie?), per la scuola (sull’edilizia scolastica, a quanto racconta una neo-ministra talmente compresa nel suo ruolo da non stare più nella pelle) e per il lavoro (il tanto decantato jobs act). Con riferimento all’ultimo argomento, il dibattito – ormai in zona Cesarini – si è concentrato sulla politica fiscale. Si parla di un taglio dell’ordine di 10 miliardi (ad Angelino Alfano luccicavano gli occhi per la commozione) di cui sono ancora molto incerte le coperture, mentre sembra ormai deciso che la parte prevalente andrà ad alleggerire le busta paga dei lavoratori con retribuzioni più basse. Il che, a nostro avviso, è un errore.



Si era parlato – e queste erano le indicazioni della Ue e degli osservatori internazionali – dell’esigenza di ridurre il cuneo contributivo e fiscale allo scopo di restituire competitività alle imprese e aiutare in questo modo la crescita. L’operazione che si sta preparando non c’entra nulla con questo obiettivo; e non serve a invertire il ciclo economico. Agendo sull’Irpef il governo compie una scelta di carattere elettorale, assolutamente demagogica e, alla fine, politicamente inutile.



Implementare le buste paga di qualche decina di euro non aiuterà nemmeno la domanda interna, perché le famiglie tendono a spendere il meno possibile non tanto perché non hanno disponibilità economiche (e comunque 80 euro in più al mese non cambiano loro la vita), ma perché non sanno che cosa sarà loro riservato domani. È tanto semplicistico da divenire assurdo ritenere che la domanda (sollecitata da un minor prelievo in busta paga) faccia ripartire l’offerta e quindi la produzione. È vero il contrario: la domanda interna riprende se torna la fiducia; perché ciò avvenga, occorre che le aziende siano più competitive, richiamino i lavoratori dalla cig e magari creino anche qualche nuovo posto di lavoro, avvalendosi degli incentivi economici e soprattutto essendo gravate da minori disincentivi normativi (a questo dovrebbe servire il jobs act) nell’assunzione e nella risoluzione dei rapporti di lavoro.



Quanto al resto, staremo a vedere. Le ultime notizie lasciano intendere che le altre materie del pacchetto (codice del lavoro semplificato, nuova Aspi ovvero prestazione universalistica a sostegno della disoccupazione, contratto di inserimento a tutela differenziata e crescente, maggiore liberalizzazione dei contratti a termine, agenzia nazionale dell’impiego) finiranno nell’articolato di un disegno di legge. Se così sarà avremo tempo per parlarne. Se mai il provvedimento riuscirà a prendere il largo evitando di “fare navetta” tra le due Camere. In fondo, anche la riforma Fornero fu affidata a un disegno di legge che riuscì a entrare in vigore il 18 luglio dello stesso anno (il 2012) in cui era stato discusso e presentato.

Probabilmente la scelta del vettore legislativo è determinata dalla prossimità delle elezioni per il Parlamento europeo che per Matteo Giamburrasca Renzi e il suo Youth Government rappresentano un passaggio importante. Dal comportamento del premier risulta evidente che fino ad allora non ci si può aspettare niente di serio. Solo ricchi premi e cotillons, come l’intervento sull’Irpef che un precedente lo ha. Nel 1960, Fernando Tambroni – fortemente contestato per la maggioranza che aveva votato la fiducia all’esecutivo da lui presieduto – pensò bene di ridurre il prezzo della benzina, con l’obiettivo dichiarato di aiutare le famiglie a comprarsi un’utilitaria e sviluppare così il mercato interno. Detto tra noi, però, Giorgio Squinzi lo sgarbo se lo merita. Ha voluto la bicicletta? Ha chiesto a gran voce il ricambio? Adesso pedali. Che cosa poteva aspettarsi da un premier che “amoreggia” con Maurizio Landini?