Un presidente del Consiglio non può permettersi di rispondere con un tono piccato e arrogante a chi rappresenta il mondo del lavoro e quello delle imprese come sta facendo, con insistente reiterazione, Matteo Renzi nei confronti della Confindustria e della Cgil. Con tale linea di condotta, il Premier dimostra, se mai restasse ancora qualche dubbio, di essere un ragazzotto presuntuoso e arrogante, che si fa forza di questi difetti, anziché cercare di correggerli. Del resto, lo abbiamo visto in occasione dei vertici europei e internazionali aggirarsi per quei saloni come se fosse il fattorino che ha appena portato i caffè dal bar di fronte. E come possiamo commentare quei comizi che improvvisa in Parlamento o durante le conferenze stampa se non ammettere rassegnati che ormai il convento non ci passa nulla di meglio?



Eppure, anche l’irriverenza irrituale di Renzi nei confronti della terribile coppia Camusso-Squinzi un significato lo ha. Probabilmente era arrogante e presuntuoso anche il ragazzo della favola che, quando tutti elogiavano il sovrano per le sue meravigliose (e invisibili) vesti, si mise ad urlare che il re era nudo. Con i suoi sberleffi, il “garzoncello scherzoso” una cosa la dimostra: che la Confindustria e la Cgil sono soltanto delle tigri di carta, da prendere a pedate senza correre il rischio di spiacevoli reazioni.



La novità è importante; non tanto dal punto di vista del governo, perché la concertazione è morta e sepolta da tempo. Chi volesse trovarne un frutto tardivo dovrebbe risalire al 2007, al “patto per il welfare” sottoscritto dal governo Prodi e dalle Parti sociali. Il nuovo va cercato dall’angolo di visuale del Pd (Renzi ne è pur sempre il segretario), un partito che negli ultimi anni si era messo agli ordini della Cgil, anche quando si trattava di scegliere tra le politiche di questa confederazione e quelle delle altre, ai tempi – recenti – degli accordi separati. Basti ricordare con raccapriccio che, all’indomani dell’intesa separata per lo stabilimento Fiat di Pomigliano, un autorevole dirigente del Pd di allora (per giunta non ex comunista) si augurò (sic!) che accordi siffatti non si stipulassero più.



La novità, pertanto, non sta neppure nei dissensi che un sindacato, come la Cgil, esprime nei confronti di un esecutivo e di una maggioranza di cui il Pd è il principale protagonista, ma nel contrario: ovvero, in un segretario democrat e presidente del Consiglio che non si preoccupa (“ce ne faremo una ragione”) delle critiche di quell’organizzazione che, fino a poche settimane or sono, rappresentava l’azionista di riferimento del suo partito, in grado di imporgli clamorose marce indietro mediante un comunicato stampa minaccioso.

A chi scrive non piace che Renzi continui a definire appartenente alla “palude” chiunque azzardi formulare delle critiche e ad autodefinirsi “il cambiamento”: tutto, per ora, solo a parole. C’è un solo punto su cui il Premier ha mandato un segnale forte di innovazione: il decreto legge n. 34 in materia di contratti a termine e di apprendistato. La commissione Lavoro della Camera ne comincia l’esame domani; ma, già dalle dichiarazioni preliminari, si capisce che il provvedimento non avrà vita facile e che i problemi più seri verranno dall’interno della maggioranza.

Il presidente della Commissione, Cesare Damiano, ha dichiarato che intende modificare il testo nei punti più qualificanti: dalla soppressione del vincolo della causale per tutto l’arco dei 36 mesi, al numero delle possibili otto proroghe fino alle norme di semplificazione del contratto di apprendistato per quanto riguarda il piano formativo e l’obbligo di trasformazione di una quota di rapporti per poterne assumere nuovi apprendisti. Insomma, se passasse questa linea, non si capirebbe quale senso continuerebbe a esprimere il decreto. A conti fatti – i numeri sono fondamentali quando si vota – in commissione Lavoro è tanta l’incertezza. Il Pd e il Sel possono combinare una maggioranza spuria. Ma tutto il Pd seguirà la linea di condotta del presidente Damiano, il quale, al di là delle posizioni politiche allineate con quelle della Cgil, è certamente competente e autorevole? Quanti deputati democrat, prima in Commissione, poi in Aulasaranno fedeli al governo?

Il decreto ha scomposto gli schieramenti: a sostenerlo ci sono una parte (minoritaria?) del Pd, Forza Italia, il Ncd e – immaginiamo – le formazioni centriste. A volere delle modifiche sostanziali sono l’altra parte del Pd (maggioritaria?), una forza di opposizione come il Sel; le altre opposizioni faranno filibustering e… demagogia. E quindi lavoreranno “per il re di Prussia”, contro l’impostazione del decreto. In sostanza, è su questo provvedimento che si sposta il braccio di ferro, finora in surplace, tra Matteo Renzi e Susanna Camusso.

Il premier ha una visione della politica che lo porta a cercare direttamente un rapporto con l’opinione pubblica e a considerare con fastidio tutte le ritualità della ricerca del consenso in una società complessa. In fondo, Renzi è il vero erede di Silvio Berlusconi e ha la fortuna di essere appoggiato da quei poteri forti che all’ex Cav dichiararono una guerra implacabile. Susanna Camusso è stata presa in contropiede. Si sta ancora interrogando sulla linea di condotta da tenere: deve contrastare questo giovanotto che non gli è simpatico e che non le porta l’acqua con le orecchie (come tutti i presidenti dei governi di centrosinistra e i precedenti segretari del Pd hanno fatto con lei e i suoi predecessori) o invece deve trovare un modo per andare d’accordo e riproporre l’asse Cgil-Pd sia pure con qualche novità (magari anche dal punto di vista generazionale)?

La Cgil è nata da una costola dei partiti di sinistra; negli ultimi tempi si è sempre più caratterizzata come una componente di questo schieramento. Potrà mai accontentarsi la più grande organizzazione sindacale del Paese di fare riferimento ai “quattro gatti” che stanno con Cuperlo e Sel?

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