Un interessante studio – presentato in occasione di un recente convegno promosso dalla Federazione dei pensionati della Cisl dell’area metropolitana bolognese – consente di valutare gli effetti dei provvedimenti adottati negli ultimi anni in materia di perequazione dei trattamenti pensionistici. Si tratta, come è noto, della rivalutazione automatica delle pensioni con riferimento al costo della vita: un istituto su cui gli ultimi governi (come del resto i precedenti, dal 1992 a oggi) sono intervenuti, in vario modo e con obiettivi diversi, con lo scopo prevalente di “fare cassa”, trattandosi di una misura che da questo punto di vista – al di là degli aspetti di equità sociale – assicura risparmi importanti e praticamente immediati.



Dal 2012 a oggi su questo istituto si sono ripetuti dei tagli, prima di natura temporanea, poi di carattere strutturale. La riforma Fornero, per il 2012 e il 2013, aveva stabilito il seguente meccanismo: sulle pensioni di importo pari o inferiore a tre volte il trattamento minimo (1.405,05 euro mensili lordi) veniva garantita la rivalutazione nella misura del 100% dell’inflazione (2,6% nel 2012); per gli importi superiori a tale limite non operava alcuna perequazione. È bene ricordare che se l’importo della pensione era compreso fra tre volte il minimo e la stessa cifra incrementata dalla perequazione (1.451,58 euro mensili lordi) l’incremento della perequazione veniva corrisposto fino a tale limite maggiorato.



Quali effetti si sono avuti? Nel 2012 sono stati interessati dalle nuove misure ben 5.192.338 pensionati per un totale di perequazione non erogata di circa 3,8 miliardi (la quota più consistente, per poco meno di un miliardo, è gravata sui percettori di un trattamento superiore a 3mila euro lordi mensili). Nel 2013, la platea è rimasta la stessa, ma il taglio è salito a 4,4 miliardi (di cui 1,1 miliardo a carico dei predetti pensionati con più di 3mila euro). In sintesi e arrotondando gli importi: nei due anni di blocco (2012 e 2013) la perequazione persa (per sempre) è ammontata a 8,2 miliardi (sic!) che, spalmati su 5,2 milioni di soggetti interessati, ha determinato una riduzione media pro-capite di 1.584 euro.



Nel 2014 sarebbe dovuto tornare in vigore il sistema previgente di perequazione, ordinato come segue per fasce orizzontali di pensione: 100% per i trattamenti fino a tre volte il minimo; 90% per la quota di pensione compresa fra tre e cinque volte il minimo; 75% per la quota oltre cinque volte il minimo. La legge di stabilità (legge n.147/2013) per il triennio 2014-2016 ha previsto un nuovo sistema che passa da un regime di fasce orizzontali a uno di fasce verticali, nel senso che le nuove aliquote si applicano su tutto l’importo della pensione e non sulle quote eccedenti i multipli del trattamento minimo. Così fino a tre volte il minimo (1.486,29 euro mensili lordi) la perequazione è pari al 100% (1,2% di maggiorazione); oltre tre volte ed entro quattro volte (oltre 1.486,29 e fino a 1.981,72) è in misura del 90% (1,08% di maggiorazione); da quattro ed entro cinque volte (oltre 1.981,72 e fino a 2.477,15) al 75% (0,90% di maggiorazione); oltre cinque ed entro sei volte (oltre 2.477,15 e fino a 2.972,58) al 50% (0,60% di maggiorazione). Al di sopra dell’ultimo importo opera un complesso meccanismo di calcolo che porta in pratica a una cifra fissa stabilita provvisoriamente dall’Inps in 17,84 euro, ma destinata a essere ricalcolata in poco più di 14 euro. Esistono fasce di garanzia quando, calcolata la perequazione con la fascia di appartenenza, il risultato ottenuto è inferiore al limite della fascia precedente perequato.

Il passaggio al sistema di perequazione per fasce verticali dovrebbe determinare, secondo le previsioni, una riduzione di spesa, nel periodo considerato, di circa 5 miliardi di euro. Lo studio citato ha calcolato quali saranno nel 2014 le classi di pensioni maggiormente penalizzate dal nuovo sistema di rivalutazione automatica. Paradossalmente emerge che a “soffrire” di più non saranno i trattamenti più elevati ma quelli di importo medio-alto. Mentre le pensioni comprese tra 13 e 19 volte il minimo subiranno, rispetto al calcolo precedente per fasce orizzontali, una penalizzazione dello 0,40%, quelle tra 5 e 7 volte ne avranno una pari allo 0,56%.

Un altro aspetto merita di essere evidenziato. Si tratta degli importanti effetti della riforma Fornero sul numero degli accessi al pensionamento. Nel 2013 sono state liquidate 649.621 pensioni rispetto ai 1.146.340 nuovi trattamenti del 2012 (-43%). Le pensioni eliminate nel 2013 sono state 742.195 con un saldo di quasi 100mila trattamenti in meno viventi nell’anno. Le previsioni dell’Inps per il 2014 prevedono 596.556 nuove pensioni a fronte di 739.924 assegni da eliminare. Il crollo più vistoso riguarderà le pensioni di anzianità (ora pensioni di vecchiaia anticipate) che passeranno dalle 170.604 del 2013 alle 80.457 previste per il 2014 (-52,8%).