Un’ennesima grave tragedia nel Canale di Sicilia ha dato la stura, nei giorni scorsi, a un’ulteriore polemica con l’Unione europea a cui è periodicamente rivolta l’accusa di lasciare sola l’Italia (e all’Italia si addossa la stessa colpa nei confronti dell’Isola di Lampedusa) ad affrontare l’esodo dei profughi. Che ci sia a Bruxelles l’andazzo di lasciare che ogni Paese gratti le sue rogne è purtroppo vero, ma anche sul tema dei migranti, come su altri, le autorità italiane celano dietro accuse general-generiche all’Ue le loro difficoltà ad affrontare un tema che per la sua natura è destinato a non trovare mai una soluzione stabile e permanente.
La nostra Penisola è sul confine tra due mondi: a nord un’area di paesi benestanti, in crescente declino demografico e in corsa accelerata verso l’invecchiamento; a sud, popolazioni giovani, indigenti, perseguitate da malattie, fame e guerre. Il flusso dei migranti non si fermerebbe neppure se la flotta – paradossalmente – si mettesse a cannoneggiare i barconi della speranza, perché ci sarebbe sempre qualcuno che cercherebbe di forzare il blocco. La questione, quindi, è tremendamente seria. E non è nuova. Negli ultimi trent’anni, da quando in Italia si è invertito il ciclo dell’emigrazione, sono state realizzate ben 12 tra sanatorie e regolarizzazioni.
Si calcola, infatti, che su 4,8 milioni di stranieri residenti almeno 1,9 milioni abbiano usufruito di una regolarizzazione e siano nel nostro Paese per questo motivo. In trent’anni sono stati espulsi 400mila stranieri. Ciò significa che a fronte di uno straniero espulso ve ne sono stati almeno cinque regolarizzati. La presenza ha avuto un incremento di ben 12 volte quella registrata ai tempi della legge Turco-Napolitano del 1998; 2,4 milioni sono occupati, un milione sono minori di cui la metà nata in Italia. Con l’8% di stranieri residenti l’Italia è diventato il terzo Paese, quanto a popolazione straniera, in Europa.
Assume un rilievo particolare la presenza degli stranieri (10,5% del totale) nel mercato del lavoro. Peraltro, la parte più rilevante di stranieri arriva in Italia via terra, dall’Est; entra in modo regolare, poi, trascorso il periodo del permesso temporaneo, passa in clandestinità. Gli scenari futuri ci indicano che, a metà del secolo, il numero degli stranieri residenti in Italia sarà triplicato. Questo dato è sufficiente da solo a dimostrare che occorreranno strumenti più ampi di integrazione, comprese nuove norme per il riconoscimento della cittadinanza con tutte le conseguenze previste.
Tornando, però, all’emergenza di questi giorni è opportuno chiedersi che cosa veramente potrebbe fare l’Europa, visto che tutti i partiti, in prossimità delle elezioni di domenica prossima, si sono impegnati a venire in aiuto al nostro Paese. Purtroppo l’unica soluzione che produca un qualche effetto è quella dell’esternalizzazione dei controlli, verificando, in partenza, la sussistenza dei requisiti per riconoscere l’asilo politico o verificare qualche altro motivo di accoglienza.
Perché ciò sia possibile occorrerebbe però trovare accordi con i paesi interessati ovvero con quelli che si affacciano sulla sponda opposta del Mediterraneo. Oggi sarebbe un’impresa ardua, ma non esistono alternative credibili. Basti pensare, a contrariis, che quando nel febbraio 2011 scoppiò la crisi in Tunisia da cui derivò l’interruzione dei controlli agli imbarchi, in poche settimane arrivarono a Lampedusa circa 20mila immigrati. È bene ricordare poi quanto previsto dal trattato di Dublino, che praticamente affida le procedure di controllo allo Stato in cui arrivano i profughi. E fino a prova contraria anche il nostro Paese lo ha sottoscritto.
Quando scoppiò la guerra civile in Libia si disse che sarebbe arrivato da noi almeno un milione di profughi. Se ne andarono in 550mila, soprattutto verso i paesi limitrofi. In Italia giunsero in 15mila. Nel complesso, nei mesi della cosiddetta primavera araba, che determinarono la destabilizzazione dei paesi nord-africani, transitarono per l’Italia non più di 50mila attraverso ilmare nostrum. Vi sono dunque anche delle esagerazioni, nonostante la situazione sia molto difficile.
Che cosa potrà fare l’Ue? In primo luogo dovrà scegliere una strategia non solo di accoglienza ma anche di contenimento flessibile. E l’Italia dovrà ripensare l’operazione mare nostrum, promossa in un clima di forte emozione dell’opinione pubblica dopo un naufragio con tante vittime. In realtà, è vero che si salvano più vite umane, ma, al dunque, è come se gli scafisti salpassero promettendo al loro carico di vite umane che presto incontreranno la Marina militare che li porterà al sicuro.