Il declino dell’industria manifatturiera in Italia era già iniziato prima della “Grande crisi”, negli anni in cui il segno del Pil era positivo, a testimonianza di una crescita per quanto modesta, mentre l’occupazione raggiungeva dei livelli tra i più elevati nella storia recente (non si dimentichi mai che nel 2007 in tutti i paesi Ocse si raggiunse un record dell’occupazione a conclusione di un periodo di almeno otto anni di incremento generalmente continuo e costante). Il dato emerge dal Rapporto sugli scenari industriali del Centro studi della Confindustria (Csc) che ha affrontato il tema dell’assetto dell’industria manifatturiera tra i due censimenti (2001 e 2011), suddividendo l’arco temporale in due sottoperiodi: dal 2001 al 2007 (prima della crisi finanziaria) e dal 2008 al 2011 (nella “tempesta perfetta” della recessione).
È significativo il cambiamento intervenuto, a livello nazionale nel manifatturiero, tra i due censimenti. Il numero delle unità attive, dal 2001 al 2011, è diminuito del 18,4% (da 537.108 a 467.487); il numero degli addetti del 19,4% (da 4.813.226 a 3.881.051). Il fatto è che la crisi (particolarmente virulenta a partire dal 2008) si è innestata in un contesto di generale ridimensionamento della presenza del settore manifatturiero nell’economia italiana. A livello nazionale il numero di addetti manifatturieri è diminuito di quasi 300mila unità, dal 2001 al 2007, con un ampio contributo negativo dell’area Nord Ovest (-167.376).
Dalla ricerca – non poteva essere altrimenti visto il peso dell’apparato industriale nell’area – emergono dei dati particolarmente interessanti per quanto riguarda il Nord Ovest e, segnatamente, la Lombardia. Nella regione, in quel periodo, gli occupati sono diminuiti di 105.747 unità, praticamente quasi di un terzo del dato nazionale. Il calo si è verificato in tutti i comparti lombardi con l’eccezione dell’agroalimentare (+2.393), degli altri mezzi di trasporto (+300) e del recupero e preparazione per il riciclaggio (+482). Quanto al numero delle unità locali risulta, nel periodo considerato, una contrazione nella regione di 6.138 unità a fronte delle 18.303 diminuite a livello nazionale. I soli comparti in cui sono aumentate le unità locali in Lombardia sono: alimentari e bevande, prodotti in metallo, macchine e apparecchiature meccaniche, macchine per ufficio, autoveicoli e altri mezzi di trasporto.
Per restare nelle aree tipiche degli insediamenti tradizionali, anche in Piemonte tra il 2001 e il 2007 si sono perduti oltre 58mila posti di lavoro e più di 2.500 unità locali. In Veneto, la regione-chiave del Nord Est, già locomotiva dello sviluppo, le unità locali venute a mancare sono state più di 3.600, i posti di lavoro venuti meno quasi 47mila. Ha resistito – si fa per dire – l’Emilia Romagna: 11mila posti in meno e 1.500 unità locali perdute. In Toscana sono state 4.500 aziende (36mila i dipendenti).
Negli anni 2001-2007, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono aumentate le unità locali nel Mezzogiorno: 1.089 in Campania, 16 in Basilicata, 431 in Calabria, 457 in Sicilia, 870 in Sardegna. In Puglia le aziende manifatturiere sono diminuite di quasi un migliaio. Diverso l’andamento degli addetti: diminuiscono di 8mila in Campania, di 15mila in Puglia; mentre sono aumentati nelle altre regioni: 960 in Calabria, 6,3mila in Sicilia, 250 in Sardegna.
Negli anni della crisi (2008-2011) l’industria manifatturiera nazionale ha perduto oltre 480mila addetti di cui 165mila nel Nord Ovest, 125mila nel Nord Est, 90mila al Centro, 45mila Sud Est, 55mila Sud Ovest. L’indice di densità manifatturiera (rapporto tra unità locali popolazione residente x 1.000) diminuisce in Lombardia di 1,2 punti, l’indice di industrializzazione (quota di addetti manifatturieri sul totale) passa da 28,4 a 26,6. A fronte rispettivamente di -0,8 e -1,4 a livello nazionale. In Veneto il primo indice è diminuito di 1,1 punti, il secondo di 1,6. In Piemonte rispettivamente di 0,8 e di un punto.
Ovviamente, un ridimensionamento del settore manifatturiero può essere compensato da un potenziamento di altri settori: nei servizi ad esempio. È un indicatore di modernità. Ma non è la stessa cosa. L’economia del ferro aveva più sostanza.