Quale è il senso del “pacchetto Madia” (un decreto legge per i provvedimenti ritenuti urgenti e un disegno di legge delega per quelli più complessi) in tema di riforma del pubblico impiego (una definizione che ci pare più pertinente rispetto a quella più generica di “Pubblica amministrazione”)? Se rivolgessimo questa domanda al ministro o a qualcuno del suo staff, otterremmo la seguente risposta: rendere più efficiente la Pubblica amministrazione al servizio dei cittadini. Noi però non siamo sicuri che il risultato sarebbe questo, innanzitutto perché non è questo l’obiettivo vero che il governo Renzi si è proposto di realizzare con le misure varate nei giorni scorsi.



La vera filosofia che ispira il “pacchetto Madia” è un’altra. E va cercata nell’idea che la nuova classe dirigente del Pd (e quindi del Paese) esprime in ogni sua attività: estromettere gli anziani e fare spazio ai giovani in base al principio del fatti-più-in-là-che-adesso-lì-dove-stavi-tu-mi-ci-metto-io. L’efficienza non c’entra per nulla. Prendiamo il caso dell’abolizione del “trattenimento in servizio” entro fine ottobre. Il governo afferma che in conseguenza di tale norma vi saranno, nel prossimo triennio, almeno 15mila nuove assunzioni. L’approccio culturale al problema è netto: come se vi fossero nella Pa persone che non vogliono “mollare lo scranno” anche se hanno già maturato i requisiti per la pensione. Così, attraverso raggiri clientelari, costoro otterrebbero il “trattenimento in servizio”.



In realtà, le cose stanno diversamente. Prendiamo il settore della sanità dove le amministrazioni (Asl e Aziende ospedaliere) si prodigano, con tante difficoltà, a “trattenere in servizio” il personale infermieristico perché è estremamente complicato trovarne di adeguato e disponibile. Ben pochi coetanei, di nazionalità italiana, di Marianna Madia hanno i titoli o sono disposti a sostituirli in quelle mansioni. Il giorno in cui saremo costretti a importare il personale sanitario – ancor più di quanto già non accade ora – dai paesi dell’Est europeo, forse si comprenderà che certi processi, nelle strutture pubbliche, non avvengono per caso.



È provato, infatti, che ai giovani italiani non piace lavorare negli ospedali, stare a contatto con i malati, fare i turni di notte e quant’altro. Magari, se laureati in Giurisprudenza, gradirebbero entrare a far parte della magistratura (una professione autorevole, gratificante e ben remunerata, nonostante le scorribande del premier). Ma, all’ombra delle toghe, i “trattenuti in servizio” rimangano tali. 

E che dire della mobilità obbligatoria nel raggio di 50 km? Il nostro problema è solo quello di ricordare quante volte è stato affrontato, nella legislazione tuttora vigente ma “in sonno”, questo argomento, tanto da far apparire arduo, pur con tutta la fantasia e la voglia di agire che caratterizza gli uomini e le donne del “nuovo corso”, aggiungere qualche cosa di innovativo. Forse sarebbe stato più opportuno, utile e originale affrontare e risolvere una situazione critica in cui sia stata ravvisata (o sia facilmente ravvisabile: ce ne sono a bizzeffe) la presenza di esuberi da affrontare con procedure di mobilità e, se del caso, con provvedimenti di demansionamento.

Il ministro Madia, del resto, non lo manda a dire. Il suo intento è quello di dimostrare che per affrontare compiti delicati non è essenziale l’esperienza. Qualcuno le potrebbe far notare che, come Capo di Gabinetto, ha scelto uno dei migliori funzionari della Camera e non si è accontentata di qualche neolaureato ancora fresco di master all’estero. Anche le norme sulla staffetta part-time (anziani/giovani), contenute nella delega, o l’idea di estendere a tutti la regola, per ora vigente solo per le lavoratrici pubbliche e private (finora poco usata), di andare in pensione a 57 anni sottoponendosi interamente al calcolo contributivo, sono finalizzate al medesimo obiettivo: ampliare gli spazi occupazionali per i giovani, come se da ciò dipendesse un miglior funzionamento della Pubblica amministrazione.

Noi non apparteniamo a quella fitta schiera di persone sempre pronte a fare grandi aperture di credito all’ansia riformatrice dell’attuale governo. C’è una solo strada che potrebbe condurre a un’effettiva maggiore efficienza della Pubblica amministrazione: quella del suo ridimensionamento e dell’esternalizzazione verso il settore privato di tutto quanto non deve restare necessariamente in mano pubblica. Da tempo sappiamo che il concetto di servizio pubblico non coincide necessariamente con quello di servizio statale. Tutto ciò che meglio sarebbe gestito secondo criteri privatistici dovrebbe andare in mani private, riservando ai pubblici poteri la funzione dell’indirizzo, della programmazione, dell’accreditamento e del controllo. Non è forse questa l’applicazione del principio – ora costituzionale – della sussidiarietà?

Che cosa fa, invece, il governo Renzi, tramite il pacchetto Madia? Si preoccupa di usare la Pubblica amministrazione per dare lavoro ai giovani. Ma non è in grado di ripercorrere i fasti degli anni ‘70 del secolo scorso, quando – dall’università, alla scuola, alle regioni, al Servizio sanitario nazionale – centinaia di migliaia di giovani entrarono nella Pubblica amministrazione, mentre in tanti, tutt’altro che anziani, ne uscivano grazie alle pensioni baby. Per siffatte grandi operazioni – queste sì clientelari – non ci sono e non ci saranno mai più risorse sufficienti. Così i giovani dovranno accontentarsi di quanto riserva loro, spigolando qua e là, il “pacchetto Mania”. In fondo, sarà sempre meglio che lavorare davvero.