L’intervento di Giuliano Poletti al Meeting di Rimini si potrebbe riassumere in una domanda: “Dove eravamo rimasti?”. Il ministro del Lavoro, infatti, dopo alcuni “voli pindarici” sulla necessità che impresa e lavoro si lascino alle spalle ogni scoria conflittuale e imparino a collaborare al punto da celebrare insieme la Festa del 1° Maggio, ha ritenuto di affrontare i temi di sua competenza, rimasti accantonati a fine luglio, quando Pier Matteo Renzi-Tambroni (con il quale Poletti assicura di mantenere un ottimo rapporto) decise di dare la precedenza, in Aula al Senato (accolto dal grido “morituri te salutant”), al disegno di legge Boschi piuttosto che al Jobs act n. 2, rimasto incagliato sull’articolo 4. Poi c’era stata l’intemerata del Ncd sull’articolo 18, ben presto rientrata dopo l’ennesimo gioco delle tre carte del Premier che aveva addirittura promesso di voler rivedere tutto lo Statuto dei lavoratori e non il solo, famigerato, articolo compreso tra il numero 17 e il 19.
Con il buon senso che lo contraddistingue, il ministro ha affermato che non vorrebbe infilarsi in una “guerra per errore” e che sconsiglia quindi – come del resto ha fatto il Premier – di incattivirsi sul pro o sul contro un solo fatidico articolo. Tanto più – noi abbiamo interpretato così il pensiero del titolare del Lavoro – che la riforma del contratto a termine, che Poletti ha difeso e valorizzato, ha significativamente depotenziato il problema della flessibilità del lavoro anche al momento della sua risoluzione.
Anzi, per dare sostanza alla bandierina della sinistra – il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti – Poletti è stato costretto a promettere “ricchi premi e cotillons”, in termini di agevolazioni contributive e fiscali, a quei datori di lavoro che vorranno avvalersene. Siamo alle solite. La sinistra, anche quella proveniente dalla “Romagna solatia”, finisce sempre per “drogare” la politica dell’occupazione. Pur di indurre le aziende ad assumere a tempo indeterminato i governi di sinistra non hanno esitato e non esitano a remunerare i datori di lavoro per l’onere che sostengono assumendo nonché a concorrere con loro nel pagamento delle retribuzioni (gli incentivi all’occupazione) o nel riconoscere sconti fiscali e contributivi.
Ma Poletti sa come funzionano le cose. Da figlio di contadini Poletti sa che non basta dare acqua al cavallo perché beva, se non ne ha voglia o non ha sete. Così laconicamente ammette che, alla fine dei conti, il destino del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti sarà determinato sulla base del suo concreto andamento. Lui intanto si tiene il nuovo contratto a termine. Poi si vedrà.
Poteva mancare una battuta sulle pensioni dopo il caos provocato dalle sue dichiarazioni in proposito, nell’intervista a Il Corriere della Sera? No, sicuramente. Così Poletti si allinea e promette che non ci sarà nessuna norma sulle pensioni nella legge di stabilità. È consentito non credergli?