Di quante parti nella commedia in cartellone nel teatrino della politica è protagonista il Pd? Mentre a Palazzo Madama Matteo Renzi gioca la “partita della vita” sull’eutanasia del Senato, alla Camera il suo partito si avvale dell’egemonia di cui dispone grazie al bonus elettorale maggioritario per smontare pezzo per pezzo quelle riforme del governo Monti che, nella passata legislatura, ha dovuto sostenere con tanti mal di pancia allo scopo di evitare la bancarotta del Paese. L’emblema di quella stagione di riforme è stata sicuramente la riforma Monti-Fornero delle pensioni, il provvedimento che consentì di modificare il giudizio che gli osservatori internazionale avevano dato fino a quel momento del nostro Paese e di recuperare in terreno perduto sul versante della credibilità e dell’affidabilità dei nostri titoli di debito pubblico.



Proprio in questi giorni si è addirittura ipotizzato l’invio di una nuova lettera da parte della Bce, dopo quella, che, il 5 agosto del 2011, suggerì al governo italiano un programma di misure rigorose tra cui spiccava quel superamento delle pensioni di anzianità che il governo Berlusconi non riuscì a realizzare a causa dell’opposizione della Lega, compiendo così un ultimo decisivo passo verso la fossa.



La riforma Fornero del 2011 assicura un risparmio di ben 81 miliardi entro il 2021. Il che ha reso pienamente sostenibile anche la politica delle salvaguardie (se ne sono varate ben sei per 170mila lavoratori cosidetti esodati) per quelle persone che a causa dei nuovi requisiti pensionistici rischiavano e rischiano di restare privi di retribuzione o di ammortizzatori sociali, ma senza avere la possibilità di andare in quiescenza essendo stata la soglia di accesso spostata in avanti in conseguenza dell’innalzamento dell’età pensionabile. Ma ormai si sta andando oltre la tutela degli esodati (per i quali comunque si accetta il principio, non dimostrato, che, se si perde il lavoro in un’età anziana, non ci sono possibilità di reimpiegarsi e l’unica salvezza resta la pensione). È in atto uno stillicidio di modifiche marginali, ma estremamente significative, perché il loro contenuto indica chiaramente che l’obiettivo dei principali gruppi alla Camera, a cui il governo si associa, sta proprio nella intenzione di riaprire il tema dell’età pensionabile ripristinando nei fatti un trattamento di anzianità.



Il ministro Giuliano Poletti, che si è visto passare sotto il naso una sesta sanatoria per gli esodati, l’abolizione della penalizzazione economica per i dipendenti pubblici che vanno in pensione anticipata prima dei 62 anni (nel contesto della “rottamazione” dei dirigenti e figure affini inserita nella legge di conversione del decreto Madia) e, in cauda venenum, l’apertura di una via d’uscita secondo le vecchie regole per 4mila insegnanti, regolarmente occupati e stabili, che sono riusciti a farsi riconoscere come esodati di contrabbando. In quest’ultima vicenda la Camera è riuscita persino ad approvare tale norma con un voto di fiducia, benché fosse priva della “bolli natura” della Ragioneria dello Stato (Rgs), che non riteneva adeguate le coperture. Se non è peronismo questo! 

Poi, il governo, al Senato, è stato costretto a fare marcia indietro e a chiedere lo stralcio delle disposizioni in materia pensionistica, prive di copertura, grazie alla meritoria resistenza della Rgs. In caso contrario sarebbe diventata problematica la conversione del decreto Madia prima della sua scadenza. Ma le misure spicciole precedono, a nostro avviso, un’operazione più importante. Il ministro Giuliano Poletti ha promesso che in autunno il governo esaminerà compiutamente la questione della flessibilità dell’età pensionabile. Tale opzione trova sostegno più o meno in tutti i principali partiti e consiste, nella sostanza, nel ripristino del pensionamento di anzianità, magari con una piccola correzione in aumento dell’età pensionabile (si parla di 62 anni come soglia minima) e con l’introduzione di meccanismi incentivanti/disincentivanti.

Proprio perché è diffuso il desiderio di affossare la legge Fornero, la richiesta di questa modifica è in campo da tempo in modo multipartisan. Tanto che un acuto commentatore come Davide Colombo su Il Sole 24Ore ha ribattezzato quel provvedimento Legge Concordia, con riferimento al naufragio della nave da crociera. La flessibilità del pensionamento non è stata ancora approvata per via degli oneri che sarebbero necessari. Ma – lo abbiamo capito – l’attuale esecutivo ormai ha mollato gli ormeggi ed è disposto a tutto, infischiandosene dei problemi di copertura. Sarebbe, però, profondamente errata – e pericolosa per un Paese perennemente sotto esame a Bruxelles – una misura di carattere generale (applicabile anche a chi il lavoro continua ad averlo ma vuole anticipare per motivi suoi il pensionamento) a modifica dei requisiti previsti dalla riforma Fornero per l’età pensionabile. L’ordinamento non può tornare alla situazione precedente tale riforma quando era possibile andare in quiescenza anche in età inferiore a 60 anni grazie al canale della anzianità che, a fronte di 40 anni di contribuzione, non richiedeva alcun vincolo anagrafico.

Non si dimentichi che, ancora nel 2010, l’età media di coloro che percepirono il trattamento di anzianità era pari a 58,3 anni se dipendenti, a 59,1 anni se autonomi. Inoltre, prima o poi il sistema Paese dovrà pure prendere atto che, in considerazione dei trend demografici presenti e attesi, occorrerà lavorare più a lungo e investire quindi in interventi a favore dell’invecchiamento attivo, piuttosto che mandare in pensione persone ancora in grado di lavorare.