Il 60,1% della forza lavoro delle imprese associate a Confindustria ha un contratto di secondo livello che prevede l’erogazione di premi variabili collettivi; nelle imprese fino a 15 dipendenti è coperto poco più di un lavoratore su dieci, in quelle con 16-99 dipendenti il 39,5% e il 77,4% in quelle con 100 e più addetti. Il 29,6% delle imprese associate a Confindustria ha programmi di welfare. Le imprese con 100 e più addetti con programmi di welfare sono il 61,6%, contro il 35,4% e il 21,7% rispettivamente di quelle con 16-99 addetti e di quelle fino a 15. È quanto emerge in una Nota del Centro Studi della Confindustria (Csc) a cura di Chiara Felli e Giovanna Labartino, redattoa ridosso (e a commento) delle importanti innovazioni contenute del disegno di legge di stabilità (già approvato con talune modifiche dal Senato). 

Da sottolineare, in particolare, la disciplina fiscale prevista: a) per gli emolumenti retributivi di ammontare variabile riconosciuti ai dipendenti privati e la cui corresponsione sia correlata a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili, nonché per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili; b) per le erogazioni e i servizi riconducibili al cosiddetto welfare aziendale e goduti dal lavoratore e dai suoi familiari. 

Con riferimento alla prima fattispecie l’articolo 12 del disegno di legge, stanzia, a regime, 521 milioni di euro per l’introduzione in via strutturale, a partire dal 2016, della detassazione (con l’applicazione di un’aliquota Irpef specifica pari al 10%) delle somme erogate in relazione a incrementi di produttività riguardanti i lavoratori del settore privato che hanno percepito un reddito di lavoro dipendente non superiore a 50mila euro nell’anno precedente. Il limite massimo di somma agevolabile, pro capite, è pari a 2mila euro (che sale fino a 2,5mila nel caso in cui le aziende coinvolgano favoriscano la partecipazione dei lavoratori). Tenuto conto dei miglioramenti rispetto alla situazione previgente (il limite era di 40mila euro) nella relazione tecnica si stima un incremento della platea di circa il 3,6% con un ammontare annuale delle somme agevolabili pari a poco più di 3 miliardi. 

Per quanto concerne, invece, le esperienze (sarebbe il caso di parlare di buone prassi) di welfare aziendale, la modifica normativa stabilisce che non concorrano alla formazione del reddito da lavoro dipendente le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore alla generalità dei dipendenti o a categorie degli stessi per la fruizione dei servizi di educazione e di istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa a essi connessi, nonché la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali, per le borse di studio a favore dei medesimi familiari e per la fruizione dei servizi di assistenza agli anziani e ai soggetti non autosufficienti. Anche in questo caso la relazione tecnica ha compiuto delle stime considerando che nel nuovo perimetro siano inclusi i lavoratori che usufruiscono della contrattazione di secondo livello (cifrati in 620mila, un dato che a noi pare sottostimato). 

Sulla base dei parametri indicati nella relazione stessa, gli effetti finanziari del provvedimento (aggiuntivi rispetto a quanto già in vigore) determinerebbero una perdita di gettito di 4,2 milioni di euro ai fini Irpef (più 0,3 milioni ai fini delle addizionali regionali e comunali). Come si vede un onere assolutamente sostenibile. Tornando alla Nota del Csc, nel 2014 i premi variabili, collettivi o individuali (di risultato, di partecipazione, ecc.) sono stati erogati dal 35,1% delle imprese associate. 

L’erogazione aumenta marcatamente al crescere della dimensione aziendale: tra le aziende con 100 o più dipendenti il 76,8% eroga premi variabili rispetto al 48,0% tra quelle con 16-99 dipendenti, e al 21,6% tra le più piccole. Per il personale non dirigenziale, l’incidenza dei premi variabili sulla retribuzione aumenta in relazione alla qualifica. Nelle imprese che li hanno erogati, hanno infatti rappresentato il 4,0% della retribuzione annua degli operai, il 4,2% di quelle degli impiegati e il 5,8% di quelle dei quadri. Per quanto riguarda, invece, altri premi (diversi da quelli variabili) o mensilità aggiuntive (oltre alla tredicesima), l’incidenza di tali importi sulla retribuzione lorda annua è mediamente pari al 4,5%-5,1% e sostanzialmente simile tra qualifiche. 

Per quanto riguarda le iniziative di welfare aziendale, secondo la Nota, il 52,1% della forza lavoro delle imprese associate a Confindustria può usufruire di almeno un servizio di welfare aziendale. La percentuale cresce in parallelo con la dimensione: sono coperti il 66,7% dei dipendenti in imprese con 100 e più addetti, il 32,4% in imprese con 16-99 addetti e il 19,2% in quelle con 1-15 dipendenti. Il 29,6% delle imprese associate ha programmi di welfare aziendale. Le imprese con 100 e più addetti con programmi di welfare sono il 61,6%, contro il 35,4% e il 21,7% rispettivamente di quelle con 16-99 addetti e di quelle con 1-15 dipendenti. Ampie anche le differenze territoriali: nel Centro-Sud e Isole solo il 19,6% delle imprese ha programmi di welfare aziendale, la quota sale al 26,8% nel Nord-Est e al 31,2% nel Nord-Ovest. 

I servizi offerti ai dipendenti sono vari. Nella maggior parte dei casi sono frutto di una decisione unilaterale dell’impresa. Ad esempio, un’impresa su tre offre un piano assicurativo per i dipendenti (assicurazioni sanitarie, vita, infortuni extraprofessionali, responsabilità civile), ma meno di una su dieci lo fa per contratto aziendale. Allo stesso modo, la mensa, che è il servizio maggiormente offerto, essendo presente nel 72,8% delle imprese che dichiarano almeno un servizio di welfare, è frutto di decisione unilaterale del datore di lavoro nel 58,6% dei casi e di contrattazione aziendale solo nel restante 14,1%. Unica eccezione è costituita dai piani per l’assistenza sanitaria: il 15,4% delle imprese che hanno il welfare aziendale li fornisce a seguito di un contratto aziendale, il 13,2% per decisione unilaterale.