“Coesione sociale”, la “cosa blu” di Maurizio Landini, discesa in campo sabato scorso, ricorda un curioso animaletto: l’ornitorinco. Mammifero, oviparo, palmipede, dotato di un grosso becco corneo e di una robusta coda, l’ornitorinco è una specie di sintesi vivente delle principali caratteristiche del regno animale e ne rappresenta nel contempo l’evoluzione. “Coesione sociale”, infatti, ha certamente una robusta – genetica – natura sindacale dal momento che lo scheletro su cui poggia è quello della Fiom. Appartiene al novero dei movimenti che si propongono di andare oltre la rappresentanza degli interessi dei lavoratori, per abbracciare e sostenere tematiche generali e trasversali (a partire proprio dall’alleanza con quelle istanze che si oppongono ai cambiamenti istituzionali portati avanti dal Governo Renzi). Se non è ancora un partito è tuttavia un soggetto politico, dal momento che il leader riconosciuto rivendica tale ruolo anche per un sindacato. 



Su questo punto Maurizio Landini ha dovuto incassare la “diffida” di Marcelle Padovani a non strumentalizzare il nome e la memoria del marito Bruno Trentin, che, a suo avviso, non avrebbe condiviso l’operazione in cui è impegnata la Fiom. Tutto ciò premesso, l’ornitorinco di Landini non è in grado di impensierire più di tanto Matteo Renzi (giudicato nel comizio addirittura peggiore di Silvio Berlusconi). 



In quanto sindacato, la Fiom da sola e da tempo non ha più la forza di scatenare una significativa conflittualità sociale. È vero che – lo si è visto benissimo sabato – ormai la federazione del metalmeccanici è egemone nella Cgil. I richiami un po’ burocratici a rientrare nei ranghi del sindacato di Susanna Camusso non hanno retto alla tentazione di “fare da tappezzeria” al vernissage della “cosa blu”. E questo è forse il solo risultato importante che raccoglie Maurizio Landini: aver fatto di una federazione di categoria – sicuramente non vittoriosa – il protagonista egemone di una grande confederazione.



A osservare le forze in campo, sabato, non si è notato nessun segnale di “geometrica potenza” delle masse lavoratrici (ancorché autodefinitesi Unions). Diremmo, piuttosto, che si è trattato dei “soliti noti”, dei “compagni di viaggio” della Fiom in tutte le manifestazioni “radicali” degli ultimi anni, presenti, in piazza, con le loro bandiere e le loro istanze, ma destinate a rifluire dal giorno dopo nel loro perimetro d’iniziativa (che cosa c’entra Gino Strada col Jobs Act?). 

Se “Coesione sociale” non è in grado di fermare le fabbriche (anche se ci saranno zone in Italia in cui la Fiom riuscirà a costringere le imprese a riconoscere ancora la disciplina di cui all’articolo 18 anche ai nuovi assunti) ha possibilità ancora minori di condizionare l’azione legislativa del Governo. Le convergenze con la sinistra dem sono soltanto occasionali e di cortesia. Così, finirà per prevalere di nuovo la regola aurea della democrazia: per quanto importante sia il ruolo dei cosiddetti corpi intermedi, per essere efficace la loro azione deve trovare riscontro in Parlamento. Altrimenti “Coesione sociale” dovrà andare a chiedere il voto degli italiani. Ma questo è tutto un altro discorso, che non appartiene all’attuale stagione politica.

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