È stato diramato finalmente alle commissioni Lavoro di Camera e Senato lo schema del decreto legislativo sulle forme contrattuali in attuazione della legge delega n.183 del 2014 (il Jobs Act Poletti 2.0). Il testo, che è stato esaminato e varato dal Consiglio dei ministri già nel febbraio scorso, non aveva ancora ottenuto la “bollinatura” della Ragioneria Generale dello Stato (il lasciapassare indispensabile per poter procedere nell’iter legislativo) per motivi attinenti alla copertura finanziaria.
Dove stava il problema? Nel combinato disposto tra l’incentivo previsto nella Legge di stabilità per il 2015 e l’istituzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. È noto, infatti, che per gli assunti a tempo indeterminato nell’anno in corso i datori di lavoro beneficeranno dell’esenzione dal versamento dei contributi per il prossimo triennio fino a un massimo di 8mila euro l’anno (che ammonteranno così a 24mila fino al 2018). Il bonus è riconosciuto anche ai contratti a termine, di apprendistato e di collaborazione che sono trasformati a tempo indeterminato.
La misura comporta che, a seguito della trasformazione, venga meno la contribuzione precedentemente versata in ragione del 34,4% per i contratti a termine e del 27,7% per le collaborazioni. Lo stesso discorso vale per le nuove assunzioni (anche se, per ora, sembrano prevalere la trasformazioni di contratti già operanti). L’intera operazione aveva ricevuto la copertura finanziaria (al netto di quanto disposto per l’Irap) di 1,8 miliardi nella Legge di stabilità.
Il discorso sarebbe stato chiuso se, nello schema di decreto sulle forme contrattuali, non fosse stato previsto il “superamento” dei rapporti di collaborazione a progetto che risultino essere una prestazione di lavoro esclusivamente personale, continuativa, di contenuto ripetitivo e le cui modalità siano organizzate dal committente con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
A questi rapporti, dal 1° gennaio 2016 si applicherà la disciplina del contratto di lavoro subordinato, tranne che per le collaborazioni disciplinate in maniera specifica dalla contrattazione collettiva, in ragione delle particolari esigenze di settore, per le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi, per le attività prestate dai componenti di organi collegiali di amministrazione e controllo, per le prestazioni rese a fini istituzionali in favore di società sportive dilettantistiche.
Così, il numero dei contratti di collaborazione da trasformare è cresciuto al di là delle previsioni (si è calcolato che almeno la metà dei 500mila casi stimati dovrà essere convertita in contratti a tempo indeterminato sia pure a tutele crescenti). Ciò ha fatto temere per l’inadeguatezza della copertura contenuta nella Legge di stabilità; e ha posto il problema del “che fare?”. Così, alla fine, per sbloccare la situazione, il Governo ha aggiunto la somma di 194 milioni così ripartiti: 16 per il 2015, 58 per il 2016, 67 per il 2017 e 53 per il 2018. Ricordiamo, per inciso, che si è reso necessario “coprire” anche gli atti di conciliazione avvenuti in sede protetta nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del decreto (il 7 marzo) e il 31 dicembre dell’anno in corso.
Ma la Ragioneria ha preteso una clausola di salvaguardia specifica sulla base di un semplice ragionamento: il bonus è un diritto per i datori che assumono o trasformano, stabilizzandoli, precedenti rapporti precari. Per cui se le risorse stanziate non dovessero bastare (se l’operazione avesse il successo annunciato) è necessario disporre di un flusso di risorse certe e correnti. Da qui è nata la clausola che prevede – ove necessario – l’aumento dei contributi per i datori di lavoro e i lavoratori autonomi che ha suscitato tanto scalpore.
Preso in contropiede, il Governo ha potuto soltanto esprimere la convinzione e la fiducia che le risorse stanziate saranno adeguate. Poletti si è addirittura spinto a promettere che, nel testo finale del decreto, la clausola di salvaguardia sarà stralciata. Ma sembra essere una promessa da marinaio.