Sull’affaire-pensioni il Governo ha messo le carte in tavola. Sarà varato un decreto-legge con il quale verrà erogato un rimborso parziale – una tantum – ad alcuni milioni di pensionati (a quanto si dice, oltre tre milioni) titolari di un assegno compreso tra un livello pari a tre volte l’importo del minimo e uno di 3mila euro lordi mensili. In sostanza, si sposterà verso l’alto il cursore che delimitava il perimetro dei “salvaguardati” dal taglio, per il 2012 e il 2013, operato dall’articolo 24 del decreto Salva Italia del 2011. A quanto pare, la somma sarà ragguagliata al livello del trattamento, ma gli interessati dovrebbero riscuotere, in media e in totale, 500 euro pro capite.



Quella annunciata dal premier, prima in una trasmissione televisiva, poi nella solita conferenza stampa a conclusione della riunione del Consiglio dei ministri, è una soluzione non solo sostenibile sul piano economico (a essa verrà destinato il cosiddetto tesoretto, a disposizione grazie alla flessibilità del deficit di bilancio), ma corretta nei confronti delle motivazioni della sentenza n.70 della Consulta.



La Corte, infatti, non ha mai ritenuto illegittimo l’intervento in sé (se lo avesse fatto avrebbe contraddetto la sua stessa giurisprudenza in materia), ma i criteri e le modalità adottati nel 2011, sostenendo che la mancata erogazione dell’indennità di rivalutazione sulle pensioni superiori a 1450 euro lordi mensili, penalizzava – in modo permanente – dei trattamenti medio-bassi, mettendone, così, in discussione l’adeguatezza. 

Ecco perché una rimodulazione del taglio della perequazione automatica negli anni 2012 e 2013 non comporta soltanto una riduzione (compatibile con l’andamento dei conti pubblici) dell’ammontare da restituire ai pensionati, ma “aggiusta” le norme del 2011 in maniera corrispondente a quei principi di proporzionalità e di ragionevolezza richiesti dai “giudici delle leggi”.



Del resto, sarebbe stato paradossale che una sentenza della Consulta – rivolta a tutelare le pensioni medio-basse ingiustamente colpite (secondo i giudici), nel loro potere d’acquisto, dalle misure sulla perequazione – si fosse risolta pure in un beneficio a favore degli assegni medio-alti e alti, sui quali, ad avviso della Corte, è legittimo intervenire. È quanto sarebbe avvenuto se il Governo avesse optato per un rimborso integrale.

Certo, c’è da aspettarsi che ci saranno dei ricorsi. Siamo, tuttavia, convinti che se la Consulta fosse investita nuovamente del problema (dopo le correzioni apportate dal decreto) non potrebbe che considerare legittimo il nuovo provvedimento, proprio in ragione delle critiche rivolte a quello del 2011. Il Governo ha avuto il coraggio di affrontare una questione spinosa a due settimane dal voto. In sostanza, Matteo Renzi ha deciso di sottoporsi al giudizio degli elettori anche su questo punto, consegnando alle opposizioni e agli avversari un argomento da campagna elettorale. E a quanto pare essi ne approfitteranno.

È veramente triste osservare la linea di condotta di forze politiche e sociali che insistono perché la perequazione automatica soppressa (loro la chiamano il “maltolto”) sia restituita a tutti, anche a quelle cosiddette pensioni d’oro i cui percettori vengono esposti alla gogna a giorni alterni. È un non senso (non è questo il “filo rosso” della sentenza n. 70/2015) considerare i diritti previdenziali come i soli incomprimibili anche in un contesto di crisi economica.

Non si dimentichi mai che per realizzare l’operazione decisa dal Governo verranno utilizzate quelle risorse del “tesoretto” che, altrimenti, sarebbero state destinate a misure di inclusione sociale e di lotta alla povertà. Tali risorse andranno, invece, a pensionati che poveri non sono.