La chiamano helicopter money ovvero “gettare i soldi dall’elicottero” anziché petali di rosa come venne fatto – tra lo scandalo generale – al funerale di Vittorio Casamonica. Il Governo non ha esitato – usiamo la prudenza necessaria quando a parlare sono solo le slides (e gli imbonitori) e non i testi di legge – a impiegare ingenti risorse in misure di chiaro sapore elettorale, in vista del referendum del 4 dicembre. Ma tutto sommato questo è un problema secondario: è legittimo che un esecutivo e una maggioranza vadano alla ricerca di un più ampio consenso dei cittadini, in vista di una prova a cui conferiscono molta importanza come la legge di revisione costituzionale. Eppure, anche in questo caso occorrerebbe valutare nel modo migliore possibile le priorità, dal momento che le risorse non sono infinite e che 27 miliardi di manovra costituiscono un ammontare più che significativo.
Ciò premesso, chi scrive contesta che le allocazioni previste corrispondano tutte alle principali esigenze di un Paese che non cresce, che ha un alto tasso di disoccupazione soprattutto giovanile, che non è in grado di incrementare la produttività del sistema e di ridurre la spesa pubblica. Certo, le misure annunciate a favore degli investimenti produttivi – a stare alle dichiarazioni del ministro Carlo Calenda – potrebbero essere giudicate come la parte migliore della Legge di bilancio. Ma solo in linea di principio, come ha sottolineato Gianfranco Polillo, chiedendosi se saranno misure efficaci oppure se rischieranno di coinvolgere solo una parte minoritaria del sistema industriale: quel 25% circa che esporta, mentre il grosso resterebbe schiacciato dal ristagno della domanda interna. E se quest’ultima non crescesse in modo adeguato sarebbe inutile – conclude Polillo – ridurre le imposte su utili che non ci sono.
Ma l’asino del Governo cade sulle coperture: quelle previste sono molto vaghe (il condono mascherato dalla demagogica chiusura di Equitalia; una spending review priva di indicazioni concrete e di troppe speranze destinate ad andare deluse); le altre vengono da un aumento del deficit contrabbandato come esigenza di una maggiore flessibilità di bilancio. E su questo punto si è già pronunciata criticamente la Commissione di Bruxelles (anche se la guerra per un decimale di punto sembra un po’ esagerata). Il limite vero dell’operazione sta in quello che un tempo si chiamava deficit spending (ovvero l’incremento della spesa pubblica con il deficit di bilancio). E nel dare corso a un’operazione impostata sul deficit al solo scopo di “gettare soldi dall’elicottero” nel settore della previdenza; a favore cioè degli anziani mandando il conto da pagare – grazie a un disavanzo che è destinato a tradursi in debito – ai giovani.
Le proposte sulle pensioni sono quelle più note e sulle quali si è discusso di più. Il Governo ha fatto ampie concessioni ai sindacati. Addirittura i dirigenti sindacali era usciti dagli incontri con il Governo annunciando un limite di 1.350 euro lordi per l’Ape sociale; ma alla fine l’esecutivo è arrivato a 1.500, prevedendo – se sarà confermato – che persino nel caso di Ape volontaria questa quota continuerà a godere del beneficio fiscale, mentre l’interessato dovrà rimborsare la quota eccedente. L’estensione della cosiddetta quattordicesima va a vantaggio di categorie già tutelate dal sistema. Quanto alle misure sui lavori usuranti e sui lavoratori precoci (che si tengono insieme in taluni casi) si collocano su di una linea che sarà difficile difendere in Parlamento e che finirà per essere sfondata, ripristinando, in pratica, il pensionamento di anzianità. A questo solito andazzo occorrerà poi aggiungere l’ottava salvaguardia per gli esodati.
Al settore pensioni sono stati riservati, in un triennio, sette miliardi, quando tutte le statistiche stanno a dimostrare che l’equazione anziani = poveri non esiste (negli under 65 anni si riscontra il minor tasso di povertà). Certo, ci sono – e sono tanti – gli anziani poveri. Ma la povertà è un fenomeno trasversale e specifico. Sarebbe stato meglio investire quei sette miliardi nell’inclusione sociale, implementando le scarse risorse contenute nel ddl delega sulla povertà. Chissà se, in privato, Matteo Renzi definisce “sdentati” i poveri come il suo collega Hollande…