Nell’articolo della scorsa settimana mi ero limitato a commentare un Focus, a mio giudizio significativo, promosso da ConfCooperative e Censis, riguardante l’occupazione giovanile, con una particolare sottolineatura del caso dei giovani “che ce l’avevano fatta”. Chissà perché questo scritto ha suscitato il commento di un lettore che se l’è presa con il mio vitalizio (sono stato eletto, infatti, nella XVI Legislatura). Ho pensato che fosse utile fare un po’ di chiarezza sull’argomento, anche perché è sicuramente un modo per suscitare quel dibattito che Il Sussidiario auspica da sempre, come sua linea editoriale.
Criticare l’assegno vitalizio degli ex parlamentari è ormai come sparare sulla Croce Rossa (difendere l’istituto vuol dire andarsi a infilare da soli nella gogna), benché questa prestazione – con le caratteristiche appunto del vitalizio – abbia cessato di esistere alla fine del 2011. Dal 2012, infatti, anche i parlamentari avranno una pensione con le regole del sistema contributivo: allineamento dell’età pensionabile, requisito minimo di 5 anni effettivi, accredito annuo del montante contributivo in misura del 33% dell’indennità, applicazione dei coefficienti di trasformazione in rapporto all’età di quiescenza, aggancio automatico all’attesa di vita e quant’altro incluso negli ordinamenti pensionistici degli italiani.
È cambiata anche la normativa della reversibilità, dal momento che, come stabiliscono le regole generali, le future prestazioni ai superstiti saranno proporzionate al reddito dei soggetti che le ricevono. Un’altra revisione importante riguarda i criteri di rivalutazione degli assegni erogati. In precedenza, esisteva una sorta di clausola-oro, nel senso che i vitalizi erano agganciati all’evoluzione delle indennità dei parlamentari in corso di mandato (per altro bloccata da anni). A riforma compiuta, varrà un sistema di perequazione automatica delle prestazioni legato al costo della vita come per tutti i pensionati.
La riforma, dunque, è seria e incisiva; opererà per intero per i deputati e i senatori (per questi ultimi si vedrà che cosa succede se passa la riforma costituzionale) che sono entrati o entreranno in Parlamento dopo il 1° gennaio 2012; e si applicherà, pro rata, per quanti hanno esercitato il mandato elettivo fino a tutto il 2011 (fino ad allora è operante il vitalizio a meno che il parlamentare non abbia compiuto la scelta – come chi scrive – di trasferire, a suo carico, al metodo contributivo l’intero arco della XVI Legislatura).
Il problema, allora, cambia pelle e pone due specifici interrogativi: se è corretto riconoscere una pensione ai parlamentari per l’attività svolta; che cosa fare dei vitalizi già erogati. Sul primo quesito: a parte ogni altra valutazione di carattere politico (o, se vogliamo, anche etico), in Italia tutte le tipologie di reddito “da lavoro” sono sottoposte non solo a tassazione, ma anche a prelievo contributivo; e danno pertanto luogo a una pensione, anche nel caso in cui il soggetto sia già iscritto a una propria gestione obbligatoria o sia pensionato. Non si capisce perché dovrebbe essere esclusa da tale disciplina la sola indennità dei parlamentari.
Vi saranno anche delle riduzioni importanti di spesa. Nel regime dell’assegno vitalizio, Montecitorio incassava 12,5 milioni di versamenti contributivi dai deputati ed erogava circa 130 milioni per le prestazioni. In pratica vi era un rapporto tra entrate e spesa di uno a dieci. Quando la riforma andrà a regime, tale rapporto sarà di uno a tre/quattro. I principali risparmi deriveranno dall’elevazione del requisito anagrafico e dalla riduzione dell’importo delle future pensioni rispetto a quello dei vitalizi. Si stimano “tagli” che vanno da 500 a oltre 2mila euro mensili lordi a seconda del numero di legislature e dell’età: in pratica i nuovi assegni pensionistici risulteranno inferiori tra un terzo e la metà dell’importo dei vitalizi.
Per quanto riguarda, poi, i trattamenti in corso di erogazione potrebbero essere fissati dei contributi di solidarietà, anche di carattere strutturale. Se poi si volessero seguire le indicazioni di Tito Boeri – ammesso e non concesso che siano reperibili i dati – e ricalcolare gli assegni vigenti con il metodo contributivo, occorrerebbe, almeno, tener conto non solo dei versamenti effettuati dal parlamentare, ma includere, nel conteggio, un ammontare pari a circa il triplo a carico delle Camere, come avviene nel caso di tutti i lavoratori (a cui viene accreditata anche la quota spettante al datore per un complessivo 33%).
Se, invece, si vuole usare la mannaia ai danni di tanti anziani signore e signori che credevano di aver servito il Paese e scoprono invece di averlo defraudato e derubato, si proceda pure. Questo non è forse il tempo degli Unni? Certo, sarebbe bastata un po’ di fantasia e di cultura previdenziale in più per risolvere il problema in una maniera ancor più trasparente, chiudendo così, per sempre, un’infinita polemica. Si sarebbe potuta istituire, nei bilanci delle Camere, una gestione-stralcio per i trattamenti già erogati. Quanto ai neo eletti, con riferimento agli emolumenti percepiti in qualità di parlamentari, poteva essere disposta la loro iscrizione alla Gestione separata dell’Inps, secondo il metodo contributivo e alle condizioni previste per la loro posizione.
Nella Gestione, sono stabilite, infatti, aliquote diverse a seconda che si tratti di iscritti in via esclusiva, di persone già pensionate o di assicurati presso un’altra gestione obbligatoria rispetto alla quale per i soggetti interessati, posti in aspettativa, opererebbe la contribuzione figurativa. Il regime poteva essere quello vigente nella Gestione, sia per quanto riguarda la ripartizione dei versamenti, il loro accredito, i requisiti anagrafici e contributivi, il calcolo della prestazione. Grazie al metodo contributivo, un giovane deputato, non più rieletto, conserverebbe, nella Gestione separata, l’ammontare accreditato aggiungendolo poi a quello maturato nella nuova attività. Gli altri avrebbero un assegno supplementare se già pensionati o una seconda pensione se iscritti, per la professione svolta, ad altra gestione obbligatoria. Come avviene già per tutti gli italiani.