Sono uno dei pochi in Italia in grado di scrivere la storia dell’Inps e dei suoi presidenti, almeno dal 1987 a oggi. Dapprima ho lavorato a stretto contatto con tutti i presidenti dell’Inps come segretario della Cgil responsabile delle politiche sociali, poi come componente e presidente dei collegi sindacali dei due enti più importanti dal 1994 al 2007; in seguito, in qualità di vice presidente della commissione Lavoro della Camera. In verità potrei risalire addirittura al 1970, quando la riforma del 1969 affidò alle parti sociali la gestione dell’Istituto, assegnando la maggioranza in consiglio di amministrazione ai rappresentati dei lavoratori che così esprimevano, a rotazione ogni 4 anni, il presidente. La sequenza fu: Cgil, Cisl, Uil, Cgil, Cisl. Poi nel 1994, dopo il capitolo di Tangentopoli connesso alla compravendita di immobili da parte degli enti previdenziali (furono coinvolte anche persone legate alle organizzazioni sindacali, poi quasi tutte scagionate), venne istituito (col dlgs n.479) il cosiddetto modello duale a valere per tutti gli enti: il Consiglio di indirizzo e vigilanza in cui siedono i rappresentanti delle parti sociali in modo paritetico (anche in questo caso l’organo è presieduto da un sindacalista a rotazione tra le principali confederazioni); il presidente e il CdA nominati dal governo. Ulteriori organi il collegio dei sindaci e il direttore generale.
Nella XVI legislatura, furono soppressi i CdA e i loro poteri trasferiti al presidente. Sempre nella passata legislatura si è proceduto a processi di incorporazione e fusione tra i diversi enti, tanto che ora troneggia, a fianco dell’Inail – divenuto polo della sicurezza – il SuperInps (che ha assorbito, dopo Ipost, anche Inpdap e Enpals) affidandone la gestione ad Antonio Mastrapasqua (che presiedeva l’Inps dal 2008) fino a tutto il 2014, proprio per portare a termine il percorso dell’unificazione. Le vicende che hanno portato alle dimissioni del superpresidente sono note. Poi è stata la volta di due commissari straordinari: prima Vittorio Conti, poi Tiziano Treu.
Quest’ultimo sembrava destinato a diventare il nuovo presidente, fino a quando l’ambito incarico non è stato conferito dal Governo Renzi al prof. Tito Boeri. Ignoro quali siano stati i motivi di tale scelta, soprattutto in sostituzione di una persona di grande valore e multiforme esperienza come Treu. Tanto più non sono a conoscenza delle “regole di ingaggio” che Boeri ha ricevuto, al momento della nomina. Chi ricopre tale carica deve saper stare sulla scena mediatica. Io ho sempre definito il presidente dell’Inps il “padrone delle pensioni” in un Paese in cui 60 milioni di italiani desiderano andare in quiescenza il prima possibile. Colui che è al vertice della “fabbrica delle nostre pensioni” deve avere un buon livello di conoscenza dei problemi del sistema di welfare. Ma soprattutto deve essere un manager a capo di una grande azienda di servizi, che ha circa 30mila dipendenti e uffici in tutto il territorio, vanta un sistema informativo e una banca dati a livello del Pentagono. Il presidente dell’Inps deve mettere in conto di dover affrontare un “caso” al giorno di quelli che aprono le prime pagine, sollecitano interrogazioni alle Camere, promuovono inchieste malevoli nei talk show che giocano ormai solo allo sfascio.
Tito Boeri, sulla carta, questi “numeri” li aveva. Alla prova dei fatti si è rivelato, invece, un presidente che non sa stare al suo posto, ma che pretende di essere lui a dettare la linea della previdenza in Italia (si veda, da ultima, l’intervista al Corriere della Sera di critica alle norme in materia pensionistica introdotte nel ddl di bilancio 2017: critiche così severe da richiedere, la sera stessa, un comunicato di precisazione (rectius, smentita) da parte dell’Inps). E Boeri ha tenuto tale linea di condotta assai discutibile avvalendosi di un potere quasi assoluto che la legge conferisce a chi è posto al vertice dell’Ente, il cui bilancio è secondo dopo quello dello Stato.
Per quanto riguarda, invece, la gestione dell’Istituto – non è un caso che all’inizio ho voluto ricordare che ne potrei scrivere, da testimone, la storia degli ultimi 50 anni – è sufficiente ricordare che Boeri si è scontrato con tutti gli altri organi istituzionali. Vi sono state “cose turche”, ma viste in precedenza: polemiche, ricorsi giudiziari, rilievi del Collegio dei sindaci e del magistrato della Corte dei Conti e quant’altro. Non vogliamo essere malevoli. Basterebbe riflettere su alcune dichiarazioni, in proposito, del ministro Poletti.
Leggiamo insieme una nota: “A breve il ministro del Lavoro Giuliano Poletti consegnerà all’Inps le sue ‘osservazioni conclusive’ sulla riforma dell’ente. Lo ha annunciato lo stesso ministro, in audizione davanti alla commissione parlamentare. Il tutto nella cornice dell’aspro confronto tra il presidente dell’istituto, Tito Boeri, e il consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ), che ha presentato un ricorso al Tar contro il nuovo regolamento di funzionamento dell’Istituto. Dopo il ricorso al Tar, il ministero ha ‘formulato propri rilievi’ tenendo ‘conto delle osservazioni del Civ e del collegio sindacale’ e condividendoli con il ministero dell’Economia e il ministero della Funzione pubblica. Osservazioni, inviate all’Inps, che riguardano ‘l’equilibrio dei rapporti tra presidente e direttore generale, in particolare il potere di proposta di quest’ultimo, le funzioni nell’ambito delle procedure di nomina dei dirigenti dell’istituto, e alcuni aspetti della rideterminazione di alcuni aspetti delle posizioni dirigenziali’. In conseguenza dal ricevimento delle osservazioni, ha spiegato Poletti, ‘pochi giorni fa Boeri ha trasmesso tre nuove determine che presentano modifiche’ al testo precedente e che ‘tengono conto delle valutazioni che il ministero ha inviato’. A seguito di questo invio ‘il ministero ha attivato un’azione di relazione con il ministero dell’Economia e della Funzione pubblica’ e ‘in questi giorni abbiamo ricevuto le risposte dai ministeri e ci apprestiamo a consegnare all’Inps le nostre osservazioni conclusive’. Poletti ha rivendicato il ruolo del ministero nel cercare di sviluppare ‘un confronto con la presidenza dell’istituto, con il Civ e con gli organi dell’istituto nello spirito della leale collaborazione’ con l’obiettivo di ‘fare in modo che quelle azioni volte a rendere più efficace ed efficiente il lavoro dell’istituto si possano realizzare’. Nel merito della riforma, ha puntualizzato Poletti, ‘non abbiamo osservazioni’, ad esempio in merito alla finalità che questa si propone, cioè la ‘relazione con il territorio e l’esigenza di essere più vicini ai cittadini’ con un modello che prevede di ‘potenziare la presenza dell’Inps su tutto il territorio’ riducendo, per contro, le ‘direzioni centrali’. Le osservazioni del ministero sono più legate ai ‘sistemi di governance, alle modalità adottate e alla gestione dei sistemi di governance’. ‘Ci auguriamo, ha sottolineato Poletti, che il lavoro che abbiamo fatto in questa fase di analisi degli elementi di problematicità presenti nelle determine e le decisioni di Inps di procedere a modificare in alcune parti questa determina ci possa consentire di avere alla fine un assetto corrispondente pienamente ai dettati normativi’ e di offrire all’istituto ‘la possibilità di svolgere a pieno la propria funzione'”.
Non vi è chi non veda – se appena un po’ smaliziato – l’humus diplomatico (dico e non dico) di cui è intrisa questa nota, nella quale il ministro spiega come sta cercando di incollare i cocci del vertice dell’Istituto, con una buona dose di cerchiobottismo, dal momento che, nell’attuale situazione del Paese, anche chi – come Boeri – ha torto, è in grado di farsi dare ragione se solo si avvale di qualche argomento caro al populismo dilagante. Vedremo se funzionerà la mediazione del ministro. Sarebbe il caso, però, di mettere mano non solo al riordino dell’organizzazione interna (che latita dal 2012, da quando avvenne cioè l’incorporazione nell’Inps degli altri enti), ma anche alla governance dell’Istituto. Nella passata legislatura non si parlava d’altro, tanto che, col pretesto che non ci poteva essere un uomo solo al comando (il povero Mastrapasqua) si costrinse il ministro Elsa Fornero a costituire una commissione di studio che varò anche una proposta, finita poi nel fondo di un cassetto visto che di questo problema non si occupa più nessuno.
Nella XVI legislatura, mi cimentai, anch’io, in una proposta di nuova governance di cui riporto, a ogni buon fine, il contenuto, partendo dall’individuazione degli organi dell’Istituto: il Presidente; Il Comitato di indirizzo strategico; il Consiglio di sorveglianza; il Collegio dei Sindaci. Quanto alle rispettive funzioni erano le seguenti: il presidente ha la rappresentanza legale e sovraintende a tutte le funzioni e attività dell’Istituto; preside il Comitato di indirizzo strategico; può assistere alle sedute del Consiglio di sorveglianza; è coadiuvato da due vice presidenti a cui possono essere delegati, con delibera revocabile del presidente, incarichi, compiti e funzioni nella gestione dell’Istituto. La deliberazione di nomina da parte del Consiglio dei Ministri è adottata su proposta del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il ministro dell’Economia e Finanze. Il mandato ha la durata di quattro anni e non è rinnovabile.
Il Comitato di indirizzo strategico (un organo di nuova costituzione) è composto da un rappresentante del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da un rappresentante della Banca d’Italia, da un rappresentante dell’Ordine degli Attuari e da due docenti universitari titolari di cattedre in materia previdenziale. I componenti del Comitato di indirizzo strategico sono nominati dal Consiglio dei Ministri su indicazione delle istituzioni di loro appartenenza e secondo modalità che consentano, anche attraverso differenti decorrenze e durate dei mandati, la continuità dell’attività del Comitato stesso, il cui compito è rivolto a delineare gli scenari dell’evoluzione del settore e a proporre misure idonee a mantenere in equilibrio il sistema pensionistico e delle altre prestazioni e servizi erogati.
Il Consiglio di sorveglianza è composto da diciotto componenti per metà in rappresentanza delle associazioni dei datori di lavoro e per l’altra metà in rappresentanza delle organizzazioni dei lavoratori dipendenti maggiormente rappresentative a livello nazionale, al cui interno è eletto, da tutto il Consiglio, il presidente. I componenti sono nominati dal Consiglio dei Ministri su indicazione dei soggetti rappresentati per la durata di un quadriennio e sono rinnovabili per la sola durata di un altro mandato. Il Consiglio di Sorveglianza ha i medesimi poteri e svolge le medesime funzioni attribuite ora al Consiglio di indirizzo e vigilanza.
Il Collegio dei sindaci è nominato dal Consiglio dei ministri per la durata di un quadriennio, rinnovabile una sola volta, secondo modalità che consentano, anche attraverso differenti decorrenze e durate dei mandati, la continuità dell’attività del Collegio stesso. Il Collegio è composto da cinque membri di cui uno, con il ruolo di presidente, proposto dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, due proposti dal ministro dell’Economia e Finanze. I sindaci suddetti hanno la qualifica di dirigenti di prima fascia nei ruoli dei rispettivi Dicasteri. I due sindaci rimanenti sono indicati tra gli iscritti nell’Elenco dei revisori dei conti con esperienza nel mondo privato. Tra questi ultimi è nominato il vice presidente nel medesimo dpcm in cui è disposta la nomina del presidente.
Il Direttore Generale è a capo della struttura amministrativa dell’Istituto e sovraintende, sulla base delle direttive del Presidente e del Consiglio di sorveglianza, ciascuno secondo le proprie funzioni, al buon andamento dell’attività dell’Istituto. È nominato, per la durata di un quadriennio non rinnovabile, dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il ministro dell’economia e delle Finanze, su proposta del Presidente dell’Istituto, sentito il parere del Consiglio di Sorveglianza.
Tutto qua. Altre proposte furono formulate nella medesima legislatura, sempre rivolte a restituire un minimo di collegialità al vertice di un Ente tanto importante. Certo, adesso è di moda la semplificazione, mentre il progetto di governance proposto è complesso. Ma – come insegna l’esperienza in corso all’Inps – anche la semplificazione può portare alla paralisi.
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