Travolto da una straripante maggioranza contraria alla riforma Boschi, il Governo Renzi ha gettato la spugna per ko tecnico. L’elettorato lo ha sfiduciato nonostante l’onerosa politica delle mance con le quali il premier/segretario ha cercato di guadagnare consenso. L’ultimo di questi atti è stato quello di “ordinare” al ministro Madia di chiudere i contratti dei dipendenti pubblici. Ma le misure più discutibili (vere e proprie risorse “gettate dall’elicottero”) riguardano le modifiche del sistema pensionistico, in attuazione di quanto definito con le organizzazioni sindacali, con le aggiunte intervenute durante la lettura della Camera.
Il disegno di legge di bilancio è ora al Senato, in attesa che si sbrogli la crisi aperta dalle dimissioni dell’esecutivo. La Camera Alta, con ogni probabilità, festeggerà la propria resurrezione varando la manovra per come l’ha ricevuta da Montecitorio. È difficile pensare che – in questi frangenti convulsi – vi sia la possibilità di rimettere in discussione le disposizioni in materia di previdenza, nonostante che siano visibili le mine vaganti di cui sono disseminate. Del problema si è occupato – preciso e puntuale come sempre – l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) richiamando, con un breve dossier dello scorso 2 dicembre, l’attenzione su di un aspetto critico decisivo: si sono aperti troppi percorsi per il pensionamento anticipato, spesso anche creando delle vere e proprie sovrapposizioni tra le diverse uscite di sicurezza, fornendo così ai pensionandi la possibilità di optare per soluzione più conveniente.
Dopo le modifiche apportate dalla Camera dei deputati, il disegno di legge di bilancio per il 2017 contiene – fa notare l’Upb – ben sei misure per favorire l’accesso al pensionamento con requisiti ridotti rispetto a quelli fissati dalla riforma Fornero del 2011: 1) l’Ape sociale; 2) l’anticipo per i lavoratori precoci; 3) l’anticipo per i lavoratori con periodi di carriere in attività usuranti; 4) l’ottava salvaguardia per gli esodati; 5) l’ampliamento (seppur limitato) di Opzione donna; 6) il rifinanziamento per gli anni 2017-2021 dei pensionamenti di vecchiaia anticipata per i giornalisti dipendenti da aziende in ristrutturazione/riorganizzazione.
L’Ape sociale, ricorda l’Upb, è avviata in modalità sperimentale per il biennio 2017-18 ed entro il 10 settembre 2018 il Governo (quello che sarà) dovrebbe formulare proposte in ordine all’eventuale prosecuzione. Le misure per i precoci e per i lavoratori che svolgono attività usuranti introducono modifiche permanenti.L’ottava salvaguardia, come già le precedenti sette, ha natura temporanea e si rivolge a predefiniti gruppi di lavoratori che presentavano specifici requisiti al momento dell’entrata in vigore della riforma Fornero nel 2011. A ognuna delle misure è assegnato un tetto massimo di spesa, raggiunto il quale l’accesso è dilazionato nel tempo o razionato. Questa – tutto sommato – è una garanzia. Nessuna delle misure è provvista di una prova dei mezzi, nonostante il loro carattere assistenziale.
L’Upb ha quindi schematizzato i canali di pensionamento anticipato in arrivo. Il primo canale è destinato alle cinque categorie di soggetti/lavoratori destinatari dell’Ape sociale e/o dell’anticipo per precoci e usurati; il secondo riporta anche i sei gruppi di lavoratori interessati dall’ottava salvaguardia. Da questo confronto viene in evidenza un dato increscioso: sia l’ottava salvaguardia e una parte sia dell’Ape sociale che dell’anticipazione per i precoci si indirizzano alle medesime due macro-aree di bisogno: 1) coloro che per varie ragioni hanno cessato di lavorare e sono in attesa della prima possibilità utile di pensionamento; 2) i lavoratori che assistono familiari affetti da disabilità grave con conseguenti problemi di conciliazione con il lavoro.
“Al di là dei dettagli di funzionamento, emerge una considerazione di carattere generale”, ricordano dall’Upb. “Sinora le deroghe alla riforma “Fornero” sono state tutte veicolate da salvaguardie a frequenza annuale o infra-annuale, rivolte esclusivamente al passato, cioè a gruppi di lavoratori che, diversi per quanto riguarda altri requisiti, nel 2011 condividevano tutti una sufficiente prossimità al pensionamento. Di salvaguardia in salvaguardia questo requisito comune si è dilatato, e l’ottava salvaguardia è giunta a includere coloro che, con le vecchie regole, avrebbero visto decorrere la pensione entro 7 anni dall’entrata in vigore della riforma Fornero (6 gennaio 2019). I nuovi canali di pensionamento – Ape sociale e anticipo per precoci e usurati – finiscono per incorporare direttamente nelle regole del sistema pensionistico spazi di flessibilità per fattispecie ritenute meritevoli di salvaguardia anche per il futuro. In altri termini, si avvia il superamento della logica sanatoria delle salvaguardie e si inizia a costruire una flessibilità ragionata e selettiva, in grado di combinare positivamente deroghe basate sulle caratteristiche del lavoratore e requisiti di pensionamento crescenti per rispondere all’allungamento della vita e all’invecchiamento della popolazione”.
Peraltro, potersi avvalere dell’ottava salvaguardia anziché usufruire dell’Ape sociale, dà dei vantaggi ai lavoratori interessati, perché i previgenti requisiti sono più vantaggiosi sia per quanto riguarda i requisiti anagrafici, sia l’ammontare della prestazione. Per l’Ape sociale, infatti, sono necessari – per esempio – 63 anni di età. Il 70% dei salvaguardati andrà in quiescenza con un’età inferiore. E non avranno l’obbligo di ricorrere al prestito (ancorché in parte gratuito).
“Da un altro punto di vista – prosegue il dossier – la compresenza di interventi ispirati a logiche diverse può adesso implicare trattamenti differenziati tra lavoratori. Chi riesce a beneficiare della nuova salvaguardia, per esempio, può pensionarsi con i requisiti pre-riforma Fornero (le cosiddette “quote”) e senza riduzioni dell’assegno, mentre chi accede all’Ape sociale, oltre a soddisfare requisiti anagrafico-contributivi diversi, riceve una indennità pari al massimo a 1.500 euro al mese sino al compimento dei normali requisiti di pensionamento. Tale potenziale fonte di discriminazione suggerisce di valutare – il tono dell’Upb è prudente, ma le parole sono dure come l’acciaio – se effettivamente vi siano ancora categorie di lavoratori per le quali è necessario proseguire in salvaguardia, e di concentrarsi sul disegno degli altri tre canali di pensionamento flessibile, quelli a valenza strutturale, di modo da convogliarvi le risorse disponibili in base a più efficaci e trasparenti ordini di priorità”.
In conclusione, verrebbe da chiedersi se, nei fatti, vi sia stata un’effettiva applicazione dei requisiti previsti dalla riforma del 2011. O se, in pratica, fino ad ora siano prevalse (o quanto meno abbiano avuto un ampio utilizzo) le deroghe. Poi, ci sarà la Fase 2. Il Governo e i sindacati si erano impegnati a favorire una maggiore flessibilità in uscita all’interno del sistema contributivo, anche con una revisione del requisito del livello minimo di importo (2,8 volte l’ assegno sociale) per l’accesso alla pensione anticipata; a valorizzare e tutelare il lavoro di cura a fini previdenziali; a valutare la possibilità di differenziare o superare le attuali forme di adeguamento per alcune categorie di lavoratrici e lavoratori in modo da tenere conto delle diversità nelle speranze di vita nell’ambito del necessario rapporto tra demografia e previdenza e mantenendo l’aggancio alla speranza di vita. Poi, c’era l’oggetto misterioso della “pensione contributiva di garanzia”.
Che altro dire? Speriamo che tutto ciò venga archiviato insieme al Governo sfiduciato così vistosamente dal Paese. E che non si cada dalla padella alla brace.