Nel 2015, il Governo, allo scopo di favorire l’occupazione stabile, ha varato due misure importanti (sia per l’onere finanziario sostenuto, sia per l’impatto politico realizzato) riguardanti una generosa decontribuzione triennale e una nuova disciplina del recesso per i nuovi assunti a partire dal 7 marzo di quello stesso anno. Questi provvedimenti hanno sicuramente inciso sulla struttura del reclutamento, conferendo al rapporto di lavoro a tempo indeterminato un ruolo significativo nelle scelte datoriali.



Secondo l’Inps, nel corso del 2015, il numero complessivo delle assunzioni è stato pari a 5.527.000, con un incremento di 655.000 unità rispetto al 2014 (+13%). Le assunzioni a tempo indeterminato sono passate da 1.274.000 nel 2014 a 1.934.000 nel 2015, con un incremento di 660.000 unità (+52%). Nello stesso arco temporale, le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine e dei contratti di apprendistato sono passate da 401mila a 654mila, con un incremento di 253mila unità (+63%). Complessivamente, nel 2015, i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti di 913.000 unità rispetto al 2014 (+54%) e risultano in totale più di 2,5 milioni.



Nel 2015, il saldo fra assunzioni e cessazioni è risultato pari a 563mila posizioni lavorative (nel 2014 era risultato negativo per 47mila posizioni). Su 2,5 milioni di attivazioni di posizioni di lavoro a tempo indeterminato (sommando le instaurazioni di nuovi rapporti e le trasformazioni di rapporti a termine), oltre 1,5 milioni, pari al 62% del totale, risultano beneficiarie dell’esonero contributivo triennale. Dei contratti di lavoro stabili, attivati nel 2015, oltre 325mila hanno riguardato giovani in età inferiore ai 25 anni. In particolare, le agevolazioni contributive sull’instaurazione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, che hanno generato 1,5 milioni di contratti agevolati, hanno proporzionalmente favorito le donne (64,3% di assunzioni agevolate contro il 60,2% degli uomini) e i giovani (68,7% contro una media del 61,8%).



L’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti ha contribuito in misura non secondaria, se si tiene conto del fatto che una prima significativa spinta alla dinamica nel corso dell’anno si è verificata in corrispondenza del mese di marzo, quando è entrato in vigore il dlgs n. 23/2015. I contratti a tempo indeterminato stipulati, successivamente, con la nuova disciplina ammontano a più di 2 milioni e 200 mila. Più controverso è il numero dei posti di lavoro aggiuntivi determinati dalle nuove norme e dai benefici economici a esse connesse. In questi mesi – anche in conseguenza delle differenti metodologie delle rilevazioni adottate dagli Istituti ed Enti preposti – è circolata una ridda di dati diversi. Alla fine dei conti, secondo il ministero del Lavoro, la variazione complessiva osservata dalle Comunicazioni obbligatorie nel 2015 è pari a quasi 395 mila posizioni di lavoro addizionali.

Come si arriva a questo risultato? Il confronto dei dati diffusi dall’Inps con quelli derivati dalle Comunicazioni obbligatorie offre interessanti spunti anche in chiave metodologica. Premesso che alcune discrasie possono effettivamente essere imputate ai diversi universi di riferimento, emerge comunque una sostanziale sintonia in termini di saldi. Infatti, anche il dato Sisco dà conto di una variazione delle posizioni di lavoro dipendente pari a 562.776 unità nel 2015, con uno scostamento dal dato Inps di appena 700 unità. Il saldo netto delle collaborazioni a progetto nel 2015 è invece pari a -168.714, frutto in particolare della già evidenziata contrazione degli avviamenti nel secondo semestre dell’anno. È sufficiente allora sottrarre il secondo dato dal primo (il tutto è sintetizzato nella tabella a fondo pagina). 

Trasformare tale grandezza (394.062) in un numero di lavoratori non è semplice. Nel lavoro alle dipendenze, fatte salve marginali sovrapposizioni, la variazione delle posizioni lavorative subordinate corrisponde a grandi linee al numero di lavoratori. Per quanto riguarda i contratti di collaborazione, invece, si deve tenere conto del fatto che un individuo può svolgere la sua attività presso più di un committente. Pertanto la variazione netta osservata (-168.714) è verosimilmente una stima per eccesso del numero di collaboratori che hanno cessato un’attività quest’anno. Infine, nel sommare i due saldi occorre tenere presente che alcuni individui possono detenere al contempo una posizione di lavoro dipendente e una o più posizioni come collaboratore. Pertanto, ad esempio, un individuo che ha terminato una collaborazione può aver mantenuto o trovato un lavoro alle dipendenze.

In altre parole, la mera somma aritmetica dei due saldi, pari a 394.062 lavoratori addizionali – secondo il ministero del Lavoro – non può che essere una stima per difetto.