Il presidente dell’Inps Tito Boeri ha deciso che occorre fare tutto il possibile affinché gli italiani siano in grado di andare in quiescenza anticipata. Dopo aver sostenuto a ogni piè sospinto l’esigenza di un meccanismo di flessibilità del pensionamento (allo scopo – dichiarato ma non dimostrato – di favorire nuova occupazione), in queste ultime ore ha raccomandato al Governo di risolvere in maniera conclusiva la questione della ricongiunzione onerosa.



Questa volta va riconosciuto al solerte presidente dell’Inps che il problema esiste, ha creato e continua a creare “allarme sociale” presso quei lavoratori e quelle lavoratrici che – in ragione della loro condizione professionale – hanno versato i contributi pensionistici presso enti diversi (i cui regimi restano distinti anche se gli Istituti sono stati ormai incorporati nell’Inps). Ma prima di procedere oltre è bene ricordare il profilo giuridico della cosiddetta ricongiunzione.



La conservazione e il completamento del rapporto giuridico previdenziale può trovare ostacolo nella struttura pluralistica del sistema pensionistico che comporta, per quei lavoratori che mutano attività, il frantumarsi del rapporto medesimo presso più enti previdenziali. Sono stati introdotti, così, meccanismi di collegamento delle anzianità contributive frammentate tra gestioni distinte, attraverso la ricongiunzione dei frammenti sul o intorno al frammento più importante o l’ultimo o il più favorevole. La ricongiunzione può essere effettuata anche per incrementare il quantum della prestazione.



La ricongiunzione non è (sarebbe meglio dire “non era”, come vedremo in seguito) onerosa se l’interessato passa dai regimi speciali (sostitutivi, elusivi ed esonerativi) all’Inps. In tal caso tocca a queste gestioni trasferire all’Inps l’ammontare dei contributi di propria pertinenza, maggiorati di un interesse composto. In tutte le altre ipotesi (ricongiunzione verso l’Inps di posizioni di lavoro autonomo, trasferimento dal regime generale ai regimi speciali) la ricongiunzione è onerosa ed è pari alla differenza tra i contributi trasferiti dalla gestione di provenienza e la riserva matematica calcolata ai sensi di legge (100% per i liberi professionisti, 50% per tutte le altre categorie di autonomi e dipendenti, nel qual caso la quota residua resta a carico della gestione presso cui opera la ricongiunzione).

Per ovviare al problema dell’onerosità della ricongiunzione, dall’inizio degli anni Duemila è stato introdotto, nell’ordinamento giuridico previdenziale, la cosiddetta totalizzazione, un procedimento in forza del quale i diversi frammenti assicurativi vengono unificati al fine del perfezionamento del rapporto e dell’incremento del quantum. Ciascuna gestione calcola il trattamento secondo le proprie regole (pro rata), mentre la prestazione viene unificata presso l’Inps. La totalizzazione non comporta oneri per il lavoratore. Ma il procedimento, nel tempo, è stato consentito solo per alcune tipologie di prestazioni (la vecchiaia, l’anzianità con particolari requisiti, ecc.); e, in ogni caso, l’operazione è sottoposta al calcolo contributivo per l’intero ammontare dei versamenti.

È venuto il momento di spiegare, adesso, i motivi per cui sarebbe opportuno usare l’imperfetto. Nel 2010, il Governo si trovò ad affrontare un problema derivante dalla decisione – indotta dall’Ue – di unificare, “a marce forzate”, l’età pensionabile delle lavoratrici del pubblico impiego a quella dei lavoratori. Il che avrebbe potuto indurre le donne che avevano periodi contributivi sia presso l’Inpdap che presso l’Inps a ricongiungere (peraltro in modo gratuito) i diversi spezzoni presso il regime privato, onde potersi avvalere del più favorevole trattamento ivi previsto. Così, con un emendamento “birichino” alla legge n. 122 di quello stesso anno, è stata estesa l’onerosità della ricongiunzione anche alle fattispecie in cui, in precedenza, era operante la gratuità.

Quando ci si rese conto degli effetti della misura, molti lavoratori e lavoratrici si trovarono a dover pagare, all’improvviso, delle somme spesso rilevanti per poter ricongiungere i diversi spezzoni versati e andare in quiescenza. La questione diventò uno dei tanti problemi che piovvero sul tavolo del Governo Monti, insieme al tormentone degli esodati. Per modificare la norma era necessaria la copertura, che fu trovata verso la fine della legislatura secondo i seguenti principi: i lavoratori iscritti a due o più forme di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, che non fossero già titolari di trattamento pensionistico autonomo presso una delle predette gestioni avevano la facoltà, al fine di conseguire un’unica pensione, di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti posseduti presso le predette gestioni.

La predetta facoltà poteva essere esercitata per la liquidazione dei trattamenti pensionistici di vecchiaia, inabilità assoluta e permanente e in favore dei superstiti di assicurato ancorché deceduto prima di aver acquisito il diritto a pensione, sempre che i relativi requisiti siano stati già maturati o siano da maturare entro il 31 dicembre 2014, sulla base delle norme vigenti (rimase escluso il trattamento di anzianità). La suddetta facoltà venne preclusa alle lavoratrici che intendevano cumulare nel Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti i periodi assicurativi posseduti presso le forme sostitutive, esclusive ed esonerative della assicurazione generale obbligatoria, nel caso il cui il cumulo comportasse un anticipo dell’età pensionabile rispetto alle scadenze previste nell’ordinamento di appartenenza.

Si tratterebbe, ora, di completare l’operazione che, includendo anche il pensionamento anticipato, diventerebbe ben più onerosa di quella realizzata nel 2012 (con un onere modesto intorno ai 100 milioni).