Sarà perché il 19 giugno si rivota, per il ballottaggio, in tanti Comuni, compresi i più importanti e che il Governo deve recuperare dei risultati del primo turno abbastanza critici. Fatto sta che il 14 p.v. il sottosegretario Tommaso Nannicini (uno dei plenipotenziari di Matteo Renzi) e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti (“messo lì nella vigna a far da palo”) hanno convocato le organizzazioni sindacali, per dare seguito all’incontro svoltosi nei giorni scorsi e al piano di lavoro concordato in quella sede. «All’ordine del giorno avremo molti punti – anticipa il Ministro – non solo la flessibilità, ma anche tutto il tema della previdenza e del lavoro. Andremo con molti argomenti: non c’e’ una proposta definita perché c’è un impegno che ci siamo assunti e ci sarà un confronto vero. Abbiamo dei pilastri chiari, ma anche la disponibilità concreta a discutere». 



Poletti ha poi confermato le ipotesi di riforma allo studio: «Stiamo lavorando a costruire una cosa complessa, che risponda a due parametri: deve essere economicamente sostenibile e socialmente equa». Bel colpo! La botte piena e la moglie (o il marito o la persona unita civilmente) ubriaca. Visto, però, che il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci il “giovane caudillo” non è ancora riuscito a farlo, c’è da temere che si sprecheranno le promesse e le disponibilità, salvo, poi, mantenere ben poco. Perché se così non fosse e si passasse alla vie di fatto, il Paese sarebbe nei guai, dal momento che la carne al fuoco – per quanto riguarda il confronto in materia di previdenza – è tanta e, sul piano dei conti pubblici, visibilmente insostenibile. 



Al primo punto dell’ordine del giorno c’è l’Ape, il meccanismo che prevede un anticipo pensionistico per ritirarsi fino a tre anni prima della pensione di vecchiaia (quindi, a 63 anni e sette mesi). Secondo questa misura il lavoratore dovrebbe percepire un trattamento che restituirà, poi, con la pensione. È allo studio anche una possibile, contemporanea liquidazione dell’eventuale montante accumulato in un fondo pensione o in un’altra forma di previdenza privata a capitalizzazione. 

Questo punto, però…. casca l’asino. Mentre i sindacati sono attestati, in pratica, sulla proposta Damiano (anche se gli rode la penalizzazione economica prevista), il Governo pensa a un anticipo pensionistico  finanziato dalle banche, le quali sarebbero coperte dal rischio (ad esempio, di decesso del pensionato prima della fine della restituzione del prestito, che dovrebbe essere scaglionato in un ventennio), attraverso un’assicurazione anch’essa privata. Non sarebbe, quindi, necessario, come nella proposta Damiano e in quella di Tito Boeri, un sostanzioso intervento pubblico (a meno che non si intenda costituire, come si è ipotizzato, uno sgravio fiscale a favore dei redditi più bassi). Si discute, in particolare, sulla decurtazione della pensione, intorno al 2% per ogni anno di anticipo. In tale ambito il riscatto dei periodi versati alla previdenza complementare potrebbe ridurre l’ammontare del prestito pensionistico. 



A questo punto, però, viene da porsi una domanda: perché prevedere una penalizzazione economica se non è contemplato alcun onere (o quanto meno nessun onere consistente) di finanza pubblica a copertura dell’operazione Ape? Quanto meno, la penalizzazione dovrebbe sussistere soltanto nel caso di anticipo volontario, non motivato, ad esempio, dalla perdita di lavoro in prossimità della pensione. A nostro avviso, tuttavia, l’Ape (con il suo bagaglio bancario-assicurativo) dovrebbe essere utilizzabile soltanto nel caso di disoccupazione involontaria a pochi anni di distanza dalla pensione, mentre nelle ipotesi del Governo, i  disoccupati dovrebbero beneficiare di un trattamento che li accompagni alla pensione, a carico dello Stato. E gli esuberi per riduzione di personale dovrebbero gravare sulle imprese che vi ricorrono. Ma, a questo proposito, non sarebbe meglio dare un corso accelerato alle norme che prevedono l’istituzione di fondi di solidarietà? 

Sul tavolo vi sono anche altre questioni aperte: Opzione Donna (pensione anticipata per le lavoratrici a 58 anni con 35 di versamenti contributivi), esodati (l’ottava salvaguardia?), lavori usuranti, lavoratori precoci, flessibilità contributiva. Tanto che Poletti si è lanciato in un triplo salto mortale da un trampolino senza rete, vagheggiando di un 2017 caratterizzato dal varo di un Social Act. “E io pago!’, diranno gli italiani, osservando, oltre confine, le preclare virtù elvetiche che hanno bocciato le suggestioni del reddito di cittadinanza.