Provaci ancora, Marianna. La titolare della Funzione pubblica, Marianna Madia, ha rimesso a punto i decreti attuativi della legge delega di riforma della pubblica amministrazione e del pubblico impiego, che è intitolata con il suo nome. Lo ha fatto dopo il rimpallo subito da parte della Consulta su di una questione procedurale che il Governo Renzi credeva ormai superata (il coinvolgimento delle Regioni) dando per scontata, a suo tempo, l’approvazione per via referendaria della legge Boschi che prevedeva un ampio processo di centralizzazione. Si torna così a “rammendare le solite vecchie calze”.

Nonostante le “grida manzoniane” del Governo continua, nelle amministrazioni pubbliche, la prassi di manipolare i cartellini per togliersi il disturbo di andare a lavorare. Eppure, secondo le nuove disposizioni, il dipendente pubblico sorpreso a imbrogliare sull’ingresso in ufficio verrà sospeso dal servizio e dallo stipendio entro 48 ore (conservando il diritto a un assegno alimentare). Poi avrà inizio un procedimento disciplinare che, se l’accusa sarà confermata, arriverà fino al licenziamento. La sospensione sarà immediata e si dovrà raggiungere una decisione entro 30 giorni (prima erano 120). La Corte dei Conti, inoltre, potrà pretendere dal dipendente i danni causati all’immagine della Pubblica amministrazione. Ci andranno di mezzo anche i dirigenti dubbiosi ed esitanti nel ristabilire “l’ordine violato” (ma lo sa il Governo che queste figure professionali corrono il rischio di un giudizio di responsabilità patrimoniale se il dipendente viene reintegrato dal giudice, come è probabile).

Che dire? È senz’altro utile snellire le procedure disciplinari, che nel pubblico impiego sono lunghe e farraginose, costellate di laboriose commissioni paritetiche. Ma gli irriducibili “furbetti del cartellino” sanno benissimo di poter contare su di un “giudice a Berlino” il quale, applicando – come ha deciso la Suprema Corte di Cassazione – il fantasma dell’articolo 18 ancién régime ai dipendenti pubblici (la cui permanenza in vigore, peraltro, sarà confermata anche dai decreti Madia), potrà valutare la proporzionalità tra l’inadempimento del lavoratore e la sanzione. E i giudici, di solito, sono di manica larga.

Lo si è visto in tutti questi anni, perché il licenziamento, come sanzione estrema per queste mancanze, non è una novità. Già l’articolo 55-quater del Testo Unico sul pubblico impiego del 2001 ammoniva, arcigno e (inutilmente) severo: “Si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia”. Com’è finita, per esempio, la storiaccia di quel 31 dicembre in cui si scoprì che, a Roma, un numero enorme di vigili urbani (l’83%) aveva “marcato visita”? Il tribunale ha annullato persino la multa che l’Ufficio del Garante aveva comminato alle organizzazioni sindacali e ha messo a suo carico le spese processuali.

Sembra, invece, che ci saranno delle novità per quanto riguarda il controllo delle assenze per malattia, soprattutto quando esse sono collegate a una festività o si collocano nel contesto di un ponte. La soluzione a cui si sta lavorando è quella di affidare all’Inps il controllo dei certificati medici e il contrasto dell’assenteismo anche nel pubblico impiego. L’Inps ha un potenziale informatico e telematico tale da poter competere con quello del Pentagono. I certificati dei medici di base, ordinariamente trasmessi per via telematica, vengono gestiti da un programma che è in condizione di monitorare la tipologia delle assenze, la loro frequenza, nonché le malattie denunciate. Ciò mette l’Istituto in condizione di selezionare le visite fiscali e di indirizzarle alla verifica dei casi dubbi. L’altro programma funziona – per dirlo in modo semplice – alla stregua di un sistema di radio taxi. L’Inps conosce in ogni momento la distribuzione nel territorio dei propri medici fiscali e può utilizzarne gli spostamenti con modalità adeguate e razionali, al fine di effettuare più controlli nel medesimo arco temporale.

Certo, le Asl – soprattutto quelle della Capitale – finora competenti nel settore pubblico, non dispongono di altrettanti dati di base ed efficienza amministrativa. Ma davvero sarebbe sufficiente questo passaggio di consegne e di ruoli per evitare che si ripetano vicende come quelle dei “pizzardoni” romani? Siamo seri. Neppure i servizi ispettivi più agguerriti dell’Inps sarebbero stati in grado, la notte di Capodanno, di organizzare, nel giro di qualche ora, visite fiscali presso centinaia di famiglie. Immaginiamo che anche gli organici dell’Istituto, in quella maledetta nottata, fossero stati decimati da ferie, permessi e quant’altro.

Quando le situazioni logorate, strutturalmente o in forma contingente, cercano rifugio nell’abuso dei diritti e si servono in modo anomalo e patologico delle tutele riconosciute ai lavoratori, non possono essere sanate con rimedi ordinari e fisiologici. Soprattutto quando rimane confermato un sistema più favorevole nel caso di licenziamento. Se si vogliono impostare politiche “di cambiamento” in materia di pubblico impiego sarà bene ripartire dal punto in cui il discorso si è interrotto dopo la pubblicazione del Libro verde sulla spesa pubblica di Tommaso Padoa Schioppa (settembre 2007). Basti ricordare che, con riferimento al solo comparto Ministeri si osservava, come fosse teorica la mobilità (l’80% del personale non aveva cambiato neanche una volta ufficio all’interno dello stesso Ministero negli ultimi 5 anni). È in questa realtà ingessata che negli ultimi anni il Governo ha predisposto una rotazione a tutto campo dei dirigenti, vanificando così l’utilizzo di competenze professionali acquisite con anni di lavoro ed esperienza.

La via d’uscita – quella vera – sta nell’ampliamento dei processi di esternalizzazione, affidando alla gestione privata quei servizi che possono essere meglio erogati – e con maggiore efficienza – se portati fuori dalle strutture pubbliche (affidando a esse poteri di programmazione, regolazione e vigilanza). Non è un caso che i servizi funzionino meglio (e che la loro qualità sia più apprezzata) laddove esiste un rapporto sinergico tra pubblico e privato (come nei servizi sociali, ad esempio). La terapia per il nucleo duro della Pubblica amministrazione è una sola: si chiama etica pubblica. Al funzionario deve essere restituito uno status, riconosciuto il ruolo del “civil servant”, valorizzata la professionalità anche in termini retributivi. Ma è la motivazione quella che conta, che fa la differenza. Ecco perché sono importanti i processi di selezione e di formazione.

In Francia il fior fiore della classe dirigente proviene dall’Ena, la scuola pubblica che forma i quadri dell’amministrazione. Noi ci abbiamo provato, con l’istituzione della Scuola superiore della Pubblica amministrazione: un’altra delle tante speranze deluse.